mercoledì 24 agosto 2011

PSYCHO ALLA 54ª BIENNALE DI VENEZIA

Max Klinger (Lipsia 1857-Grossjena 1920)
Simplicius am Grabe des Einsiedler
(Simplicio alla tomba dell'eremita)
Intermezzi tav. VIII
acquaforte, 1881














Quando capiterà un’altra occasione?
Quando capiterà che nel padiglione italiano della 54ª Biennale di Venezia siano invitati ad esporre circa duecento artisti? Il numero esatto non è dato saperlo poiché ho potuto constatare personalmente che i nomi presenti in mostra non sempre corrispondono con quelli elencati nel sito ufficiale della Biennale ed è facile prevedere che in futuro il numero di chi dichiarerà di essere stato presente o di aver rifiutato è destinato ad aumentare.
La formula adottata dal curatore Vittorio Sgarbi è nota e non occorre riassumerla, né mi interessa giudicarne ulteriormente la validità, gli esiti, i costi... circolano, ormai, numerose dicerie sui retroscena degli inviti, ma anche questo ormai non mi interessa punto.
Congratulazioni a chi ha avuto la grande occasione e pazienza per tutti gli altri:
quelli che l’hanno già avuta, ma vorrebbero essere sempre presenti;
quelli che l’avranno;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non lo meritano;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non si danno abbastanza da fare;….
Molti dubitano che si sia trattato di una “occasione”, né buona né grande, sostenendo che si notano di più quelli che mancano o che hanno rifiutato.
Il fatto che gli intellettuali interpellati non dovessero essere né esperti, né galleristi, né critici né curatori di mostre d’arte contemporanea (non del tutto vero poiché qualcuno dell’”ambiente” c’era) avrebbe dovuto sgombrare il campo dai pregiudizi che in questo Blog si sono spesso rilevati (vedi etichetta “Contemporaneamente”).
Tanto per non citare nuovamente il testo di presentazione nel catalogo della Biennale, riporto lo stralcio di una dichiarazione di Vittorio Sgarbi tratta da un’intervista raccolta da Cristina Baldacci e pubblicata sul numero 278 di “Artedossier”
«Il Padiglione Italia più che “illuminazioni” mostra una mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio….
ho concepito una Biennale estesa in tutta Italia, che esca dai limiti di Venezia, presentando artisti anche nelle nostre regioni e città e negli Istituti italiani di cultura all’estero, e che coinvolga diversi generi: pittura, scultura, fotografia, design, ceramica, videoart, e grafica, a cui si possono aggiungere anche altre forme di creatività, di solito estranee alla Biennale, come la moda e la gastronomia.»
Appare chiaro (almeno fingiamo di credere che lo sia) come sono stati cooptati gli artisti presenti a Venezia, ma non conosco la procedura adottata per le “sezioni decentrate”. Mi sono giunti diversi comunicati stampa relativi a mostre che si dichiarano emanazione del “Padiglione Italia”, sembrerebbe che qualunque mostra aperta dal 4 giugno al 27 novembre, sia sotto l’egida della 54ª Biennale.
Esisterà un qualche attestato ufficiale che lo dimostri?
Ma pare vi sia di peggio, ovvero mostre regionali delle quali sono stati annunciati i partecipanti, ma che non sono mai state allestite.
Frattanto nel sito internet ufficiale della Biennale non risulta alcun riferimento a questa fantomatica “Biennale stesa in tutta Italia”.
Pare che fosse sufficiente proporsi e credo che non avrei avuto grosse difficoltà a contattare il curatore, o i suoi collaboratori, per concordare una mostra. Che non l’abbia fato io si può capire, mi stranizza che non sia venuto in mete di farlo a qualcuna delle varie associazioni che con facilità avrebbero potuto gestire l’evento.
Ovviamente il fatto che io non ne sia a conoscenza non esclude che non sia stato fatto e se qualcuno avesse maggiori notizie in proposito sarebbe utile saperlo.
Appare ovvia la difficoltà di girarsi tutta l’Italia per ricostruire la “mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”, in compenso a Venezia, come ormai ben sapete, ci sono andato.
Effettivamente visitando il “Paglione Italia” all’Arsenale c’è di tutto (quasi), nel senso che rispetto alle intenzione enunciate da Sgarbi manca solo la gastronomia e… l’incisione.
Tra coloro chiamati a segnalare l’artista vi erano poeti e letterati che con i loro testi hanno anche contribuito alla realizzazione di edizioni con incisioni originali, ma, forse, non se ne sono ricordati, d’altra parte erano chiamati a segnalare l’artista non la tecnica, infatti sono presenti in mostra dei “peintre-graveur”, validi incisori, qualcuno è di quelli che quando c’è (c’era) l’edizione di qualche cartella in ballo rivendicava le specifiche competenze e reclamava l’inserimento, ma non è certo con le loro incisioni che si sono presentati nelle sale dell’Arsenale o nelle sedi regionali distaccate.
Cosa se ne può dedurre?
Innanzitutto che se sono gli stessi artisti a considerare l’incisione subalterna rispetto alla loro stessa attività non vorrei più sentirne le lagnanze.
In secondo luogo bisogna rassegnarsi all’ipotesi che nessun artista-incisore (occorrerebbe aggiungere  “puro”, non è una definizione che amo, ma serve ad intendere quegli artisti che adottano l’incisione come esclusivo, o privilegiato, mezzo espressivo, insomma quelli che, anche volendo, non avrebbero altro da proporre se non incisioni) è ritenuto una significativa espressione “dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”.
Ogni altra ipotesi, che si potrebbe fare, equivale ad affondare il dito nella piaga aperta e dolorante.
Degli artisti partecipanti alle mostre allestite negli 89 Istituti di Cultura Italiani all’estero è stato pubblicato un catalogo e si può apprendere che vi sono due artiste che presentano incisioni, ma in verità ambedue d’italiano hanno soltanto il nome: Angela Cavalieri (Melburne 1962) è una nota artista australiana che realizza incisioni su linoleum, sulle cui stampe interviene con pittura ad olio, elaborando i caratteri della scrittura per il loro valore segnico; Maria Bonomi (Meira 1933) è un artista portoghese che realizza (anche) xilografie dal linguaggio informale.
Se in qualche altra sede distaccata della Biennale siano esposte incisioni, mi sarebbe di gran conforto apprenderlo, poiché adesso io mi sento come il personaggio di Psycho, il romanzo di Robert Block portato sullo schermo da Alfred Hitchcock, che impersona la madre defunta, fingendo che sia ancora in vita.
Non sono così presuntuoso da ritenermi il candidato più idoneo a quella parte, il ruolo da protagonista spetterebbe a qualche altro interprete ben più autorevole di me (innanzitutto tra gli artisti), ma io non mi sottraggo alla mia piccola responsabilità di nostalgico, anacronista sorpassato dai gusti e dalla cultura della “contemporaneità” almeno nei primi dieci anni del nuovo millennio.

lunedì 22 agosto 2011

RONDEAU VENEZIANO 13

Sinceramente non sapevo se sarei riuscito a farcela e adesso, sinceramente, non so cosa ho fatto.

“Nel momento in cui mi sono reso conto che poteva risultare una clamorosa idiozia, un’eccellente stupidità, ho capito che era il caso di realizzarla…” è il primo rigo del primo post di questa avventura.

Cos’è? siamo già all’auto-citazione?

Mi è costata un po’ di ansia in più, soprattutto il primo giorno che non riuscivo a caricare il post ho pensato al fallimento.

Non è stato semplicissimo e ho la conferma che non è vero che scrivere sul Blog è come scrivere su un taccuino.

Le difficoltà di postare mi hanno fatto riflettere su cosa accade ai Blog (o Blogs?) abbandonati: sopravvivono a chi li ha creati?

Può sembrare che non si sia parlato abbastanza di incisione che resta il principale interesse; incisione non come tecnica, invece come una sorta di “etica”, come precipua modalità di scelta del segno grafico per l’espressione e l’interpretazione (poetica?) della realtà (e dell’irrealtà), anche di fronte all’ennesima Minchiatella (ricordate i miei criteri di classificazione estetica? Rondeau 0.6) dell’accreditato artista concettuale, negli spazi gelidi della Fondazione Pinault, osservando la struttura a labirinto di un giardino…
Possono ben capirmi gli appassionati e i “veri” artisti (dovrò decidermi a una qualche considerazione sul concetto di “artista vero”) gli altri che “artisti” si ritengono, ma “veri” non sono, per intenderci quegli artisti che dichiarano di andare in ferie, non lo capiranno mai, questo non gli impedirà di continuare a incidere gradevoli composizioni.

Raccolte le pubblicazioni e ammucchiata la roba in valigia.

Ripartire di Lunedì è scelta strategica, essendo giorno di chiusura di quasi tutte le mostre e non essendo giorno di spostamento per i vacanzieri (e tu che sei?) spero di viaggiare senza intoppi.

Il prossimo post sarà quello conclusivo.

domenica 21 agosto 2011

RONDEAU VENEZIANO 12

Quel che doveva essere il dulcis in fundo è iniziato con l’amarezza di apprendere all’ingresso che il giardino-labirinto, realizzato in onore di Jorge Luis Borges a 25 anni dalla morte, non è accessibile ma si può soltanto vedere dall’alto durante la visita guidata.
Consiglio: portatevi le tessere che avete (aci, coop,…tiro a segno, bocciofila…) almeno una servirà per avere la riduzione sul biglietto.

Seguono le immagini di alcune tappe del percorso di visita guidata.





il chiostro progettato da Andrea Palladio

Chiostro dei Cipressi su progetto di Andrea Buora


Una infilata dall’ingresso del refettorio verso il fondo con gli interventi dei tre principali architetti che si sono succeduti nella realizzazione del complesso conventuale: Baldassarre Longhena, Palladio, Buora.

L'antica biblioteca pure di costruzione longheniana

Ex celle ristrutturate da Michele De Lucchi

Il tema del labirinto è ricorrente nell’opera di Jorge Luis Borges, ne trattano anche alcuni racconti contenuti in L’Aleph (La scrittura del dio; Abenjacàn il Bojarí, ucciso nel suo labirinto; I due re e i due labirinti), il giardino realizzato fa riferimento, in particolare, al racconto Il giardino dai sentieri che si biforcano della raccolta Finzioni, infatti a completamento della struttura vegetale è prevista la realizzazione di un corrimano sul quale sarà trascritto, in caratteri Braille, il testo del racconto, in questo modo solo i non vedenti, seguendo la successione narrativa, potranno trovare la via verso l’uscita.
Progetto di Randoll Coates
 Non ricavo alcun piacere a vederlo così senza vivere il senso di smarrimento di percorrerlo: il disorientamento provocato dal moltiplicarsi dei punti di riferimento (il labirinto) rispetto al disorientamento provocato da non avere alcun punto di riferimento (il deserto)
Progetto di Randoll Coates

In un labirinto il senso di disorientamento si percepisce solo standoci dentro, poiché visto dall’alto si rivela il senso logico della sua struttura.
 
Rispetto all’asse di simmetria verticale si individua la forma di un libro aperto (in verità il solo esplicito riferimento formale al racconto) e rispetto all’asse orizzontale le siepi di bosso ripetono il nome di Borges.
Il libro e il labirinto sono due simboli fondamentali in tutta l’opera di Borges che nello specifico racconto si identificano: il libro è il labirinto.
  
Le aspettative erano state alimentate anche dalla suggestione delle incisioni che hanno trattato il tema del labirinto.
Forse sono condizionato dalla delusione di non esserci potuto entrare, forse riflettendoci meglio eviterei di prendere una cantonata (in un labirinto poi…), ma qui conta la prima impressione: formalmente sembra quasi una variante della tipologia dei labirinti “unicursali”, i “cul de sac” sono minimi, pertanto basta andare sempre avanti e si torna a dove si era entrati, il rischio non è tanto di perdersi, o di non trovare il “centro” (che qui non esiste), ma di non percorre tutto il labirinto per intero.
Concettualmente il programma iconografico, in riferimento al racconto, non mi sembra poi così ricco: se vi sarà una ringhiera sulla quale trascrivere il testo non indicherà di per sé la direzione (il “filo”) del percorso? In quale lingua sarà trascritto il racconto? Così i non vedenti che leggono il Braille, ma non la lingua della trascrizione non saranno nelle stesse condizioni dei vedenti che non leggono il Braille?…


Sull’installazione Ascension che invade inutilmente la Basilica di San Giorgio si può solo stendere un pietoso velo. Chi l’ha autorizzata? Non valgono, in questi casi, i vincoli monumentali? E chi l’ha pagata? Almeno funzionasse, per avere un’idea di cosa dovrebbe accadere c’è una cartolina che sembra più effetto di Photoshop.
Anche il solo rumore delle ventole per me risulta importuno: almeno spegnetele, meglio togliete tutto. L’artista Anish Kapoor dev'essere perseguitato dalla sfortuna (o inadeguato?) visto che anche la mostra di Milano hanno dovuta chiuderla perché, anche in quel caso, l’installazione non funzionava.
.

Adesso desidero semplicemente trascinarmi lontano, "perdermi" fin dentro la sera, fin dentro la notte.

RONDEAU VENEZIANO 11

Luna di giorno alla Salute,
meglio di quella dipinta nel trittico di Guccione che non sono stati capaci di fare le cornici di uguale altezza.

















All’apertura sono il primo ad accedere alla sede di Punta della dogana della François Pinault Foundation.
La ristrutturazione su progetto di Tadao Ando è impeccabile e glaciale ed è forse per mantenere il clima che risulta raggelante anche l’aria condizionata.

Procedo sorvegliato a vista dai custodi e passato in consegna di stanza in stanza, poi inizia ad arrivare qualche altro visitatore ed essendoci più gente da controllare si distraggono cosi….
Punta della Dogana, Fondazione Pinault
Punta della Dogana, Fondazione Pinault
  


Punta della Dogana, Fondazione Pinault
Quanto alla mostra rispecchia la tipica impostazione “curatoriale” delle mostre d’arte contemporanea:
un qualsiasi titolo purché ad effetto, per esempio “Dileggio delle Certezze”, forse risulta un po’ più efficace “Elogio del Dubbio” infatti è così che s’intitola la mostra.
Per cosa esporre tenete presente la ricetta del minestrone della nonna e, se c’è da appendere, solo uno per parete.

David Hammons, Forgotten Dream (2000) 


Jeff Koons

Quanto alle reciproche relazioni meglio se  risultano incomprensibili, così appariranno intellettualmente più profonde.
Insomma il contenitore è più interessante del contenuto.

Charles Ray, Boy with frog

Adesso si può fare il giro della Punta della Dogana e passare alle Fondamenta Zattere dove, nei Magazzini del Sale, si trovano gli spazi espositivi della Fondazione Vedova, ma non prevedo di visitarla.
Magazzini del Sale 2, Padiglione Catalogna e Isole Baleari

Dopo aver postato mi riposerò ancora un po’ e poi mi recherò sull’isola di San Giorgio per visitare il giardino della Fondazione Cini, mi ero informato telefonicamente (041 5200517) e la Fondazione è aperta al pubblico il Sabato e la Domenica con visite guidate ogni ora dalle 10,00 alle 17,00.

“Seduto su una panca di legno consumato da generazioni di natiche e sconforto” più o meno così scriverebbe Eloy Tizón.

sabato 20 agosto 2011

RONDEAU VENEZIANO 10

Per non doverlo ripetere continuamente avverto che le citazioni tra virgolette sono tratte dal testo di presentazione di Vittorio Sgarbi riportato nel Catalogo della Biennale.
«Dunque ho chiesto a persone che ammiro, che sono diversamente ammirate (Esercizi di ammirazione è il titolo di un bellissimo libro di Emile Cioran) di indicarmi l’artista, il pittore, il fotografo, il ceramista, il designer, il video artista, il grafico più interessante di questa apertura del nuovo millennio. Saranno 150 i “segnalatori”, testimoni di una realtà che non può essere esiliata in un ghetto avvalorando la tendenza delle gallerie d’arte. Insomma 150 punti di vista, per una rappresentazione caleidoscopica e libera dal pregiudizio di un critico che abbia la sua squadra, le sue predilezioni, i suoi protetti.»

Non vedo molta differenza tra individuare 150 “persone” che si ammirano e individuare 150 “artisti” che si ammirano, ma anche ammettendo il principio dei “150 punti di vista” diversi si compie comunque una scelta: se non tutti almeno cento risultano intercambiabili con punti di vista degni di altrettanta ammirazione perché le competenze in fatto d’arte di Pasolini, Sciascia, Moravia, che Sgarbi porta ad esempio, non sono da tutti.

Più che «caleidoscopica»: un caos di parole eterogenee, un corpo da creatura di Frankestein nel quale pullulano organi mostruosamente uniti può forse essere un’immagine che si approssima all’allestimento del Padiglione Italia.
Qualcosa non torna con l’elenco pubblicato nel sito ufficiale della Biennale: pur sapendo della presenza di alcuni nomi non sono riuscito a trovarli, pare vi sia stata una giostra di defezioni e sostituzioni confermando la mia ipotesi dell’intercambiabilità.


















Capita spesso che ci si trovi a vedere il retro della tela dell’opera posta dall’altra parte della struttura di allestimento.

La disposizione delle opere è generalmente definita a “random”, invece il modello di studio dell’allestimento dimostra che la disposizione è stata attentamente valutata e il principio riconoscibile pare essere stato quello di disporre più in alto i dipinti con resa pittorica non particolarmente efficace, riservando la visione ad altezza d’uomo a quelli con più elevata qualità.
La bella pittura, splendida in alcuni casi, non manca e se si fossero selezionate solo quelle opere…?

L’idea della maggior parte degli artisti che il grande formato li avrebbe resi più evidenti è risultata una scelta penalizzante infatti nella maggior parte dei casi sono finiti collocati ad un’altezza inguardabile.
Stranamente il piccolo formato risulta valorizzato.
Wainer Vaccari
Ed ecco la soluzione geniale.
Enzo Cucchi
Enzo Cucchi
Non so se si tratta di una scelta di allestimento o una richiesta dell’artista: c’è da chiedersi se l’avrebbero assecondato comunque se non si fosse trattato di Enzo Cucchi.



Quanto delle belle, semplici e sane acqueforti avrebbero ben figurato in questa saletta.

Installazione di Gaetano Pesce
Filippo, 588 ritratti dei 1000 componenti la leggendaria guardia scelta del re Serse
Nell’elenco riportato nel sito della Biennale non sono presenti e sarebbero passati del tutto inosservati, pertanto so di assumermi la responsabilità di elevarli agli onori della cronaca, ma come si sono intrufolati questi due? 
«Mi affiancheranno critici e studiosi per esaminare la grande quantità di materiali che arriveranno alla mia attenzione.» evidentemente qualcuno ha allargato le maglie del vaglio.
Sostiene Sgarbi: «Perché dovremmo affidarci ai “curatori” o, come si vogliono con civetteria chiamare, “curatori indipendenti? Perché ci indichino i loro protetti, ci portino nella loro infermeria dove “curano” i loro pazienti e malati? »
Luigi Sansone è proprio un “curatore indipendente” di mostre e Alberto Croce è il “curato“ (nel senso di paziente in cura).
Disegnini a china con cornicetta in noce, ormai neanche nelle mostre paesane delle pro-loco. Alberto Croce da piccolo è rimasto traumatizzato dalla visione di una rana mentre cercava un posto per fare pipì (più o meno è questa, forse non era pipì, l’origine della tematica adottata) non vorrei risultare ipercritico nei confronti del lavoro di Alberto Croce (posso anche dire che i disegni in sé sono gradevolmente ironici), semplicemente non può essere considerato, chiunque lo sostenga, «il grafico più interessante di questa apertura del nuovo millennio» e casi analoghi possono essere individuati anche per le altre forme di espressione artistica.

Quanto al museo della mafia ri-allestito nel soppalco, ecco uno dei passaggi più suggestivi

(vi assicuro la foto è perfetta).

















«…attraverso un collegamento in tempo reale con tutti gli istituti di cultura (ottantanove), che potranno segnalare uno solo o più artisti. Cento televisori saranno un occhio aperto sul mondo entro il Padiglione Italia.»
Perché 100 se gli Istituti sono 89? Come si vede i monitor non sono 100 (che motivo c’era di sparare un numero?) e i filmati sono registrazioni che si ripetono ciclicamente, tuttavia gli artisti che hanno avuto questa opportunità risultano in definitiva più avvantaggiati di coloro che espongono alle Tese delle Vergini o nelle fantomatiche mostre in giro per l’Italia, il perché lo chiarirò meglio più avanti.

Una barchetta che trasporta 5 persone alla volta può traghettarvi gratuitamente dall’altra parte del bacino denominata “Arsenale Nuovissimo” (servizio fino alle 17,00)
Arsenale Nuovissimo
con padiglioni della Bielorussia, Sud Africa, allievi delle Accademie di Belle Arti e altri eventi collaterali. Per accedere a questa parte non occorre biglietto e può essere raggiunta indipendentemente dall’ingresso all’Arsenale con i vaporetti 41,42,51,52 fermate Baccini o Celestia.

«L’indagine non sarà completa senza una rappresentanza delle venti accademie di belle arti d’italia, i cui direttori sono stati chiamati a proporre una scelta delle opere dei loro allievi»
Tanto caotico è l’allestimento del Padiglione Italia, tanto nitido è quello delle Accademie di Belle Arti.
 Tra le venti Accademie italiane non so quale appaia la migliore, non ho dubbi su quale risulti la peggiore anche per aver scelto di proporre l’ex allievo passato già docente (per quanto con incarico annuale) nella stessa Accademia dove casualmente insegna anche il padre (indovina indovinello).


Un incisione c’è, l’unica, e non poteva che presentarla Urbino, meno male, confermando una tradizione ancora dignitosa.
Matteo Fato, Luca stesa, puntasecca 2005
Chissà di cosa si occupa adesso il giovane artista?
Percorso lungo le mura esterne dell’Arsenale verso la fermata Celestia.
Durante il tragitto di ritorno ho continuato a riflettere, ragionando e discutendo con quell’altro interiore con il quale sostengo la mie più contorte conversazioni solitarie, ora dandogli ragione, ora negandogliela e morirò senza mai averlo incontrato. Non essendo giunto ad alcuna conclusione sensata mi riservo di provare a riordinare meglio le idee e conto di postarla al termine del soggiorno come forma di epilogo.


Frattanto una considerazione va fatta sulle pubblicazioni.
Al momento non risulta pubblicato un catalogo ufficiale specifico né del Padiglione Italia né delle mostre regionali, mentre ne esiste uno per le mostre allestite all’estero con la nota biografica e la riproduzione di un’opera per ciascun artista, non vi sembra una differenza significativa?
Nel catalogo generale della Biennale al Padiglione Italia è concessa qualche pagina in più rispetto alle altre nazioni: In tutto 8 pagine, mezza paginetta per la presentazione del Commissario Antonia Pasqua Recchia, meno di due pagine il testo del curatore Vittorio Sgarbi e 13 le opere riprodotte. Non è questa la più drastica delle selezioni che si potesse operare? Chi le ha scelte?
Altro che «…”et et”, lontani dall’”aut aut” cui i critici-curatori-infermieri ci hanno obbligati fino ad oggi.»
Immaginate quale possa essere stata la reazione dei “maestri” che non si ritrovano neanche citati in catalogo?
Insomma della mappatura della “Stato dell’Arte” in Italia nei primi dieci anni del nuovo millennio non resterà una documentazione, solo un elenco di nomi in Internet, ma a causa del vortice di rinunce e sostituzioni non si saprà più chi effettivamente era presente; per come stanno le cose forse può essere una fortuna perché chiunque potrà dire di aver partecipato presentando un assoluto capolavoro, oppure sostenere di essersi rifiutato di partecipare all’ammucchiata.

Sempre dal testo di presentazione in catalogo apprendo che «Simmetricamente, in un palazzo veneziano, andranno documentati gli artisti stranieri che lavorano in Italia.»
Per quanto abbia consultato tutti gli elenchi relativi agli eventi collaterali non ho trovato traccia della mostra annunciata.

Ho fatto in tempo a passare dalla sede espositiva della Fondazione Bevilacqua La Masa,
(la sede dove si trova la segreteria è chiusa in questi giorni) tra il materiale in distribuzione c’è un comunicato stampa che farebbe pensare a chissà quale evento: «edizioni limitate altamente elaborate, prodotte dai più raffinati artisti contemporanei…», invece si scopre che “Terrarium for Two Publishers” a cura di Rirkrit Tiravanija consiste soltanto nelle tre vetrinette su Calle dell’Ascensione.
Rirkrit Tiravanija, “Terrarium for Two Publishers” 
Per chi qualche libro, d’artista e non, è abituato a sfogliarlo il trionfalismo appare ridicolo e l’installazione ha l’indubbio pregio di risparmiarcene, almeno in parte, la visione diretta; doveva concludersi il primo Luglio, ma evidentemente non avevano di peggio per sostituirla.

Rispetto ai miei propositi non riuscirò a visitare una stamperia, e un piccolo editore che mi interessava conoscere, non avevo preso accordi telefonici preventivi così non sono condizionato dal mantenere l’impegno e conto in qualche altra occasione, magari non tra altri quattro anni.

L’ortonimo ho telefonato ad un incisore chiedendo d’incontrarlo ricevendone come risposta che lo studio è chiuso poiché si trova in ferie.
Un artista in ferie? Neanche fosse un impiegato del catasto (stereotipo del burocrate frustrato), se avesse risposto che era impegnato non avrei dubitato ritenendolo plausibile, forse così ha pensato di apparire “prezioso” o risultare volutamente scortese, comunque è stato ancor meglio di conoscerlo personalmente giudicandolo ormai soltanto un cazzone. 

RONDEAU VENEZIANO 0.9

Pare che adesso si riesca a caricare regolarmente i post, così, in mancanza di una spiegazione tecnica, la mia prima ipotesi che il portatile dovesse abituarsi al clima lagunare troverebbe conferma.

L’elaborazione dei post è estemporanea e, almeno per ora, non ho voglia di revisionarli per correggere eventuali errori.

Un’altra parte consistente della Biennale si trova allestita all’Arsenale e i tempi necessari per la visita non sono da meno rispetto a quelli dei Giardini: gli altri artisti invitati da Bice Curiger, ulteriori padiglioni nazionali incluso quello Italiano curato da Vittorio Sgarbi, qualche evento collaterale.

Ho ancora molto da vedere, ma per quello che ho già visto qui un’osservazione conclusiva ritengo di poterla fare sulla mostra di Bice Curiger: il solo aspetto che mi sento di apprezzare incondizionatamente è l’aver “invitato” Jacopo Rubusti detto Tintoretto.

In tutta sincerità gli spazi nudi dell’arsenale sono spesso più suggestivi di quel che vi è esposto.


RONDEAU VENEZIANO 0.8

Rientrando sono sceso dal vaporetto all’Accademia con l’intenzione di passare, per scelta estemporanea e non programmata, dallo studio di Silvano: un tentativo senza neanche accertarmi telefonicamente se fosse in sede.
Casualmente l’ho trovato che stava riordinando in vista del corso estivo che inizierà Lunedì. Abbiamo scambiato alcune parole di circostanza mentre completava di sistemare. Gli ho proposto di cenare insieme, ma avendo già ospite un gallerista francese è stato lui ad invitarmi a casa sua:
- Niente di che solo un piatto di Risi e Bisi.
Immaginando che dovessero discutere, sono stato indeciso ritenendo che la mia presenza potesse risultare importuna; rassicurato che tutti gli accordi erano già stati presi e si trattava solo di una cena di commiato dai francesi che sarebbero riparti l’indomani (che poi è già oggi) per firenze:
- Come sei messo a vino?
- Quello non manca mai.
- Allora prendo un dolce?
- Meglio un gelato.
Ai francesi (gallerista con consorte e coppia di amici) è parso strano che io mi trovassi a venezia solo per andar per mostre, a loro l’idea di visitare la Biennale non li aveva neanche sfiorati.
Diciamo trattasi di inconciliabili concezioni dell’arte che nell’ignorarsi trovano il modo migliore per detestarsi reciprocamente.
Quando un francese comincia ad intercalare merde non promette niente di buono e i commenti su François Pinault ne erano infarciti.
Ho lasciato che mi scambiassero per un fanatico dell’arte contemporanea e mi sono ben guardato dal raccontare del Blog.
Altro che arte, serata di cazzeggio prima, durante e dopo cena: Cuàndo si pianta la bela Polènta….

venerdì 19 agosto 2011

RONDEAU VENEZIANO 0.7

La drastica selezione è frutto di istintive suggestioni.      

Di incisione neanche a parlarne, a meno di non considerare tale il pavimento del “para-padiglione”












Cindy Sherman, Untitled
Le stampe invece prolificano, fotografiche e digitali sui supporti più disparati, come quella di Cindy Sherman, stampata su tela adesiva PhotoTex, che riveste un’intera stanza, l’importante è che non sia richiesta la manualità diretta dell’artista, eventualmente, se proprio occorre, che siano le mani di altri a “fare”.



 

 Utilizzando il buio, come molti prediligono fare, si toccano le corde di sensazioni ancestrali, ma non basta questo per determinare un’emozione estetica.
Diohandi, Beyond Reforme, Padiglione greco

Diohandi, Beyond Reforme, Padiglione greco

Diohandi, Beyond Reforme, Padiglione greco
Se, come mi pare di aver capito, nel padiglione austriaco l’allestimento, le sculture e i dipinti sono opera dello stesso autore, tutto è ancor più interessante : stretti corridoi labirintici staccati da terra, pertanto si vedono solo le gambe delle persone presenti (nelle intenzioni claustrofobico in alto e libero in basso),
Padiglione austriaco

Padiglione austriaco


Markus Schinwald, Padiglione austriaco
di tanto in tanto strani elementi scultorei lineari posti negli angoli all’altezza del soffitto e gli inquietanti dipinti di Markus Schinwald che tecnicamente mimano la qualità pittorica dei ritratti ottocenteschi (unico esempio di pittura tradizionale insieme a Steven Shearer, vagamente munchiano, presentato nel padiglione canadese; Tintoretto è un caso a sé)







Sono in attesa del vaporetto: per il ritorno ho scelto la linea 1 che attraversa il Canal Grande.

Come divagazione conclusiva, mi sembra, risulti calzante la distinzione fatta da Umberto Eco, nella sua rubrica dell’Espresso di qualche settimana addietro tra “verità estetica” (quella degli artisti e dei letterati) e “verità aletica“ (quella condivisa dagli scienziati, dai logici o dai giudici di tribunale chiamati a decidere dalla veridicità di un testimone) così la chiama Eco e io mi adeguo.
Umberto Eco mette in guardia dallo scambiare la finzione narrativa per la realtà, ma ritiene che a volte la finzione narrativa può essere più vera del vero e ispirare identificazioni, percezioni di fenomeni, creare nuovi modi di sentire.
Per esempio (storico) oggi sappiamo che le scatolette di “Merda d’Artista” di Piero Manzoni sono vuote (verità “aletica”), ma ciò non toglie nulla alla suggestione provocata dalla dichiarazione dell’artista circa il loro contenuto (verità estetica).
Per esempio (attuale) i video dei “Mari verticali” di Fabrizio Plessi proiettano il moto ondoso di dodici diversi mari del mondo (verità estetica), e risulterebbe del tutto ininfluente se invece si trattasse solo del mare di Jesolo (o del Lido, neanche per spostarsi troppo) in un giorno di mareggiata (verità “aletica”).
Fabrizio Plessi, Mari Verticali
Una parte delle basi che sostengono le imbarcazioni è una vasca con dell’acqua (per scoprirlo occorre saper vedere, e toccare, senza lasciarsi suggestionare o intimorire dalla semioscurità scenografica), nella spiegazione dell’installazione non si dice (forse ha prevalso un senso del pudore), ma per coerenza concettuale dovrebbe trattarsi della stessa acqua degli oceani ai quali si riferisce il video corrispondente (eventuale verità estetica) e nulla cambierebbe se invece è stata prelevata dal Canale di S. Elena che si trova a pochi metri dal Padiglione Venezia.