Nella lettera ad Adolfo
Casais Monteiro del 13 Gennaio 1935, interrogato da questo sulla genesi dei
suoi eteronimi, ecco cosa scrisse Pessoa:
«L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di
isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella
mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione.
Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono
mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica,
esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo
da solo con me stesso.»
Pseudonimo è un “falso” (pseudo) nome, cioè un nome fittizio
diverso dal proprio che si adotta per esprimere i propri pensieri.
Eteronimo è un “altro” (héteros)
nome cioè diverso da sé; l’eteronimo ha una sua specifica personalità, ha una
sua esistenza “riconoscibile” che oggi, in modo quanto mai appropriato, possiamo
definire “virtuale”, pertanto esprime pensieri diversi dall’ortonimo.
Quando scrivo queste cose
sono serissimo, sono l’homo ludens nel pieno del suo gioco che mal
tollera che se ne deridano le regole. Nel contempo sono perfettamente
consapevole della diffidenza e dell’opposizione della maggior parte di coloro
che non comprendono la scelta eteronima, però dagli artisti mi aspettavo più
senso dell’ironia, probabilmente questo è un altro aspetto da prendere in
considerazione nel mio tentativo in corso di definire la condizione di “vero
artista”, non certo la “serietà professionale” che va dimostrata in altri
ambiti, mi ci arrovello da tempo e forse come tutte le cose più volte
annunciate e poi rimandate finirò col non farne nulla.
Coloro che condividono il
gioco non vuol dire che approvino tutte le opinioni espresse, infatti sia
alcune e-mail sia alcuni commenti sono schiettamente critici, ma quel che conta
è che si siano stabilite delle relazioni fatte di scambi di opinioni e anche
confidenze che restituiscono senso e valore. Non so da quale piatto penda la
bilancia, ma è ovvio che non mi è indifferente e non fingerò disinteresse.
Sono solo una voce
scritta, nulla di più, sono solo una voce che scaglia parole e i post di questo
blog sono i frammenti concreti di un bisogno di identità e memoria. Non essendo
una persona sensata ho fatto quello che era meglio non fare: li ho scritti.
Scrivere
è anche una tecnica per nascondere un segreto, ma a volte dietro un segreto non c’è nulla di
riprovevole; a volte dietro un segreto non c’è nulla da nascondere; a volte un
segreto è solo la melodia di cui abbiamo bisogno per cullarci. Senza essermi
inventato un segreto inesistente da custodire non avrei mai iniziato
l’impostura di scrivere.
Ad
ogni modo, vivo a mio agio la mia anomalia, al mia aberrazione, trovo un certo
piacere a essere orso intrattabile, a ingannare l’altro me, a giocare ad
assumere pose radicali.
Sono
consapevole che le mie considerazioni hanno davvero la consistenza di bolle di
sapone, quindi nessuno strumento di potere piuttosto il diagramma
dell’impotenza che registra l’andamento della mia ambizione di… ero
intenzionato a scrivere perfezione (nel senso di perficere =
portare a compimento), ma avendo iniziato a leggere “Morti favolose degli
antichi” di Dino Baldi ritengo più adeguato al mio smisurato ego (o per effetto
del sole agostano?) scrivere immortalità.
Fin dall’apertura del blog
mi era venuto in mente di intervallare le mie considerazioni con qualche post
del tipo “Dove osano le aquile” e come il prossimo che inserirò, non importa
che riferisca i dubbi che allora mi avevano indotto a desistere guidato
dall’istinto che adesso mi fa ritenere giusto iniziare una serie di
“presentazioni” come quando un ospite viene condotto tra amici perché un altro
piacere degli incontri è poterli condividere. Lo ritengo già un ulteriore
arricchimento del blog comunque si evolva, ma non intendo stilare liste o
programmi.
Non mi interessa fare
bilanci per compiacermi, valuto se fin qui il percorso ha avuto un senso e
tutti i post etichettati “interludio” riflettono sulle scelte e le motivazioni.
Le volte che ho ritenuto di
non aver più nulla da dire si è concretizzato un nuovo spunto e così il blog è
progressivamente cresciuto. Nonostante non ci sia mai stato un progetto
preordinato appare coerente sia nella struttura che nei contenuti e con
documentati riscontri di una qualche utilità.
Non è che inizino a
scarseggiare gli spunti polemici, se ne presentano quasi quotidianamente, ma
per lo più inciampano tutti (per ignavia o per arroganza) negli stessi problemi
e, contrariamente a quella che sospetto sia l’opinione comune, non mi interessa
trovare artificiosi pretesti ad ogni costo. Fin ora non c’è stato alcuno
sforzo, tutto è risultato spontaneo e l’intenzione è che resti tale, non ho
alcun vincolo d’impegno, proseguirò (se proseguirò) secondo l’estro, la voglia
e le necessità.
E poi c’è il vecchio trucco
di non fare
niente in attesa che arrivi l’ispirazione (un buon alibi valido anche per il
lavoro degli artisti): funziona sempre, lo utilizzò Stendhal che dice nella sua
autobiografia: “Se verso il 1795 avessi comunicato a qualcuno il mio progetto
di scrivere, qualunque persona sensata mi avrebbe consigliato di scrivere due
ore tutti i giorni, con o senza ispirazione. Queste parole mi avrebbero
permesso di sfruttare i dieci anni della mia vita che ho completamente sprecato
aspettando l’ispirazione”.
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