giovedì 2 agosto 2012

INTERLUDIO 0.7

Nella lettera ad Adolfo Casais Monteiro del 13 Gennaio 1935, interrogato da questo sulla genesi dei suoi eteronimi, ecco cosa scrisse Pessoa:
«L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni, fortunatamente, per me e per gli altri, in me si sono mentalizzati; voglio dire che non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso.»

Pseudonimo è un “falso” (pseudo) nome, cioè un nome fittizio diverso dal proprio che si adotta per esprimere i propri pensieri.
Eteronimo è un “altro” (héteros) nome cioè diverso da sé; l’eteronimo ha una sua specifica personalità, ha una sua esistenza “riconoscibile” che oggi, in modo quanto mai appropriato, possiamo definire “virtuale”, pertanto esprime pensieri diversi dall’ortonimo.

Quando scrivo queste cose sono serissimo, sono l’homo ludens nel pieno del suo gioco che mal tollera che se ne deridano le regole. Nel contempo sono perfettamente consapevole della diffidenza e dell’opposizione della maggior parte di coloro che non comprendono la scelta eteronima, però dagli artisti mi aspettavo più senso dell’ironia, probabilmente questo è un altro aspetto da prendere in considerazione nel mio tentativo in corso di definire la condizione di “vero artista”, non certo la “serietà professionale” che va dimostrata in altri ambiti, mi ci arrovello da tempo e forse come tutte le cose più volte annunciate e poi rimandate finirò col non farne nulla.
Coloro che condividono il gioco non vuol dire che approvino tutte le opinioni espresse, infatti sia alcune e-mail sia alcuni commenti sono schiettamente critici, ma quel che conta è che si siano stabilite delle relazioni fatte di scambi di opinioni e anche confidenze che restituiscono senso e valore. Non so da quale piatto penda la bilancia, ma è ovvio che non mi è indifferente e non fingerò disinteresse.

Sono solo una voce scritta, nulla di più, sono solo una voce che scaglia parole e i post di questo blog sono i frammenti concreti di un bisogno di identità e memoria. Non essendo una persona sensata ho fatto quello che era meglio non fare: li ho scritti.
Scrivere è anche una tecnica per nascondere un segreto, ma a volte dietro un segreto non c’è nulla di riprovevole; a volte dietro un segreto non c’è nulla da nascondere; a volte un segreto è solo la melodia di cui abbiamo bisogno per cullarci. Senza essermi inventato un segreto inesistente da custodire non avrei mai iniziato l’impostura di scrivere.
Ad ogni modo, vivo a mio agio la mia anomalia, al mia aberrazione, trovo un certo piacere a essere orso intrattabile, a ingannare l’altro me, a giocare ad assumere pose radicali.
Sono consapevole che le mie considerazioni hanno davvero la consistenza di bolle di sapone, quindi nessuno strumento di potere piuttosto il diagramma dell’impotenza che registra l’andamento della mia ambizione di… ero intenzionato a scrivere perfezione (nel senso di perficere = portare a compimento), ma avendo iniziato a leggere “Morti favolose degli antichi” di Dino Baldi ritengo più adeguato al mio smisurato ego (o per effetto del sole agostano?) scrivere immortalità.

Fin dall’apertura del blog mi era venuto in mente di intervallare le mie considerazioni con qualche post del tipo “Dove osano le aquile” e come il prossimo che inserirò, non importa che riferisca i dubbi che allora mi avevano indotto a desistere guidato dall’istinto che adesso mi fa ritenere giusto iniziare una serie di “presentazioni” come quando un ospite viene condotto tra amici perché un altro piacere degli incontri è poterli condividere. Lo ritengo già un ulteriore arricchimento del blog comunque si evolva, ma non intendo stilare liste o programmi.
Non mi interessa fare bilanci per compiacermi, valuto se fin qui il percorso ha avuto un senso e tutti i post etichettati “interludio” riflettono sulle scelte e le motivazioni.
Le volte che ho ritenuto di non aver più nulla da dire si è concretizzato un nuovo spunto e così il blog è progressivamente cresciuto. Nonostante non ci sia mai stato un progetto preordinato appare coerente sia nella struttura che nei contenuti e con documentati riscontri di una qualche utilità.
Non è che inizino a scarseggiare gli spunti polemici, se ne presentano quasi quotidianamente, ma per lo più inciampano tutti (per ignavia o per arroganza) negli stessi problemi e, contrariamente a quella che sospetto sia l’opinione comune, non mi interessa trovare artificiosi pretesti ad ogni costo. Fin ora non c’è stato alcuno sforzo, tutto è risultato spontaneo e l’intenzione è che resti tale, non ho alcun vincolo d’impegno, proseguirò (se proseguirò) secondo l’estro, la voglia e le necessità.
E poi c’è il vecchio trucco di non fare niente in attesa che arrivi l’ispirazione (un buon alibi valido anche per il lavoro degli artisti): funziona sempre, lo utilizzò Stendhal che dice nella sua autobiografia: “Se verso il 1795 avessi comunicato a qualcuno il mio progetto di scrivere, qualunque persona sensata mi avrebbe consigliato di scrivere due ore tutti i giorni, con o senza ispirazione. Queste parole mi avrebbero permesso di sfruttare i dieci anni della mia vita che ho completamente sprecato aspettando l’ispirazione”.

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