venerdì 21 ottobre 2011

NUOVE METAFORE

Richard Müller
Der Keine Mensch (Il piccolo uomo)
acquaforte, 1918






Gli antichi consideravano la tecnica intimamente legata all’arte, infatti il termine greco techné comprendeva sia l’aspetto strumentale e funzionale della tecnica sia l’aspetto creativo.

Le tecnologie informatiche più aggiornate non si configurano come un ulteriore mero strumento disponibile per l’artista (al pari di matita, pennello, scalpello, bulino, macchina fotografica…), ma come un complesso processo di elaborazione digitale multimediale del messaggio artistico, la sua immissione in Rete e il rimodellarsi mediante le possibili esperienze interattive.
Insomma non basta usare il computer per risultare “attuali”, non basta che l’immagine sia elaborata digitalmente, usando quindi uno strumento nuovo e diverso per fare le stesse cose del passato, l’artista deve saper interpretare la nuova tecnica, oggi più che mai auto-referenziale e auto-giustificante, e darle un senso simbolicamente rilevante.
Si tratta di ipotesi, possibilità, opportunità che trovano già concreta applicazione e sono in continuo sviluppo tanto da far apparire sclerotizzata anche la cosiddetta “arte contemporanea” che tende a rinchiudersi sempre più in se stessa, alimentando lo stereotipo dell’artista che vive della propria esclusività, producendo “trovate” più o meno provocatorie, riducendo il “fare” artistico (per lo più delegato a terzi) a soluzioni d’effetto troppo facili per non apparire sospette, determinando, in definitiva, una condizione di appiattimento culturale e la perdita del significato di ogni pratica artistica. Un “sistema” che ha essiccato la linfa creativa degli artisti, mummificandone la ricerca espressiva nella coazione a ripetersi e classificandoli per “quotazioni”, imbrigliati nel circuito di un mercato che attribuisce un arbitrario valore esclusivamente economico dipendente dalle logiche delle lobby curatori-galleristi-collezionisti.
L’”arte contemporanea” rispecchia il nostro tempo storico , ma non ha più capacità di agire su di esso, rappresenta il sistema come è, non come potrebbe essere, di conseguenza anche l’estetica è stata assorbita dalla comunicazione: il mondo pubblicitario si è appropriato di numerosi codici appartenenti all’arte e il lavoro di molti artisti appare frutto del marketing delle agenzie pubblicitarie, concependo l’opera in funzione delle sue possibilità di impatto mediatico. Parecchi gesti apparentemente provocatori e trasgressivi sono in realtà generati per attirare e nutrire il sistema dei media.
Se questa è la situazione (e questa è la situazione), provate a immaginare in quale posizione possano trovarsi oggi i linguaggi artistici più tradizionali: disegno, pittura, scultura, incisione, fotografia analogica; mentre la specificità dell’architettura, con altre problematiche non meno complesse e urgenti, pare sottrarsi al coinvolgimento diretto nel dibattito più propriamente artistico.

Quel che ritenevo di poter dire sul rapporto tra incisione e arte contemporanea l’ho già scritto nei post etichettati “Contemporaneamente”. Non si tratta di diagnosticare stati di coma, più o meno irreversibile, o di morte, più o meno apparente, come è sempre accaduto i nuovi linguaggi, per un buon tratto, si affiancano a quelli già esistenti.
Da punto di vista dello studioso, dello storico, del critico, dell’osservatore freddo e distaccato è facile affermare che l’arte, che è sempre stata la fucina delle metafore, oggi stenta a generale, quindi se l’arte non ritrova la capacità di impatto sulla società, la sua scommessa è perduta.
È una dichiarazione di principio indiscutibile che anche il dilettantismo del blogger non ha difficoltà ad enunciare e sostenere e che scava l’invalicabile trincea tra chi teorizza e l’artista che opera, lasciandogli tra le mani la patata bollente, ovvero, con altro analogo modo di dire, è sempre toccato all’artista “togliere le castagne dal fuoco” non certo ai teorici che possono soltanto gustarle o disgustarsi.

Per quanto si possa fingere o illudersi (ricordate la “ Sindrome di Psycho”) non c’è dubbio che l’arte dell’incisione sia oggi ridotta al suo minimo peso storico, al minimo della sua necessità sociale, ma avendo raggiunto (o più probabilmente superato senza accorgersene) il massimo delle sue possibilità espressive.
Io sono tra quelli che si chiedono se abbia ancora senso che esista e, sul piano teorico posso soltanto ribadire la risposta già enunciata: se c’è una chance affinché l’arte dell’incisione riesca a ritrovare un ruolo propositivo, è da ricercare nella sua capacità di uscire dalla nicchia e ritornare a essere funzione simbolica per la società rigenerando la facoltà di creare metafore e miti.
Quanti sono gli artisti consapevoli di doversi misurare con questa problematica? Quanti sono di artisti disposti a raccogliere questa sfida?
Non chiedo di meglio che conoscere l’artista che riesca a tradurre in pratica questo assunto, ma, in questo momento, non vedo incisori particolarmente consapevoli e disponibili a questo tipo di confronto.
D’altro canto sono sufficientemente schizofrenico da riuscire ad ipotizzare la reazione contrapposta a questa concezione. Nell’impossibilità di ogni compromesso con spirito polemico e atteggiamento nichilista e provocatorio si può sostenere che l’unica ragione di esistenza vada trovata nella radicale esasperazione delle differenze.
Nella conclusione del post HOMO FABER http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/06/homo-faber.html facendo riferimento al “Super Senso”, ho evidenziato le peculiarità espressive inimitabili e insostituibili di un incisione.
Dunque puntare ad essere un privilegio elitario, più esclusivo di quanto non sia già, l’esaltazione del talento individuale e delle abilità manuali. Questo vuol anche dire che c’è posto solo per una sublime qualità, al bando ogni mediocrità neanche la sufficienza basta per reggere il confronto.
Se i sentieri che l’incisione sembra oggi percorrere risultano abbandonati e non portano da nessuna parte Chissenefrega; l’artista ha il diritto di smarrirsi, di errare nel sia nel senso di sbagliare che di aggirarsi senza meta.
Se un artista è un “vero” artista, incisore o programmatore al computer poco importa, non potrà fare niente di diverso da quello che sente di fare e le dinamiche sociali, nuovi miti e metafore, le interpretazioni dell’autorevole teorico, o dell’improvvisato blogger, in alcun modo potranno condizionarne le scelte espressive.

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