venerdì 24 giugno 2011

HOMO FABER

Nicolas de Larmessin
Abito dello stampatore da Habits de métiers et Professions.
bulino, ante 1719
















Fino agli inizi del ‘900 la Storia dell’Arte è la storia della messa in opera di un potere su una materia definita, è quindi la storia di un «sapere fare». A questa idea di«Kunstkönnen», sostenuta da Gottfried Semper, nel 1910 Alois Riegl oppose l’idea di un «Kunstkwollen» cioè di un «voler fare» artistico indipendente dall’oggetto e dal modo di creazione.
Sono gli stessi anni in cui Marcel Duchamp lanciava un avvertimento contro «gli intossicati della trementina», tuttavia la sua battuta - che non era diretta contro tutta la pittura, ma contro l’ingessata arte accademica - e il suo atteggiamento, serviranno, nei decenni successivi, come alibi e pretesto proprio per sfuggire ai problemi del mestiere, mentre lo stesso Duchamp, constatato il proliferare di tanti nipotini, negli anni di Yale si dedicherà prevalentemente agli scacchi.
Così dal Ready-made all’azione di per sé banale del Performer all’intervento di per sé idiota del Body Artist allo scritto di per sé insignificante dell’artista concettuale… di provocazione in provocazione l’arte “contemporanea” ha accelerato nell’unica direzione di uscire dall’opera tradizionale, smaterializzando l’oggetto artistico, inglobando brandelli e scarti di realtà fino a raggiungere il nulla assoluto in termini di produzione, perché in una visione “contemporanea” in alcun modo l’artista deve essere schiavo dell’abilità tecnica e manuale.
Nelle accademie - strano che ritorni la loro responsabilità? - non si insegna più la perizia tecnica, anche perché, facendo consapevolmente di tutta l’erba un fascio, non vi sono più docenti in possesso di una sapienza tecnica da trasmettere.
L’artista deve imporsi di non manipolare alcuna materia, conta solo la speculazione pura disgiunta dall’oggetto finito affidandone la realizzazione a terzi, in un processo di spersonalizzazione del prodotto che se bollato come artigiano, viene automaticamente rigettato dai curatori di eventi trendy.
Questo assunto risulta rovesciato nel saggio “L’uomo artigiano” del sociologo Richard Sennett, pubblicato da Feltrinelli nel 2008. Sennett ricostruisce le linee di faglia che separano tecnica ed espressione, arte e artigianato, creazione e applicazione. Si sostiene che la vecchia figura dell’homo faber, colui che sa fare con le proprie mani grazie a una perizia e a una conoscenza non comuni, è la salvezza contro la mediocrità. Le conoscenze tecniche e dei materiali costituiscono un’autentica ricchezza contro quella cattiva qualità del lavoro che è indice dell’indifferenza per la cultura materiale.
Più precisamente si tratta di una sinergia tra teoria e pratica: mente e mano funzionano rinforzandosi reciprocamente.
L’artista è prima di tutto un artigiano cui sta a cuore il lavoro ben fatto in sé, il criterio delle ore di lavoro viene rivalutato, perché i tempi lunghi impreziosiscono l’opera, Sennett propone di recuperare lo spirito dell’illuminismo adattandolo al nostro tempo, sollecitando l’attitudine al fare, il potenziamento delle proprie capacità, rincorrendo l’ossessione della qualità.
Cari artisti incisori che ne pensate? Non è quello che voi fate da una vita? Non è quello che nel campo dell’incisione si fa da sempre? Non esaltatevi però, perché ogni entusiasmo può essere gelato ricordando la precisione dell’orologio fermo che due volte al giorno segna l’ora esatta.
So bene che anche oggi, in tutti i campi, non mancano artisti di talento depositari di una tecnica sapiente e se Sennett fosse un curatore di mostre penserei che stia soltanto tirando acqua al proprio mulino.
Certo possiamo considerarlo un incoraggiante auspicio, tuttavia, non so se per scetticismo o pessimismo o realismo, non credo che il saggio di un docente della New York University possa condizionare un’inversione della tendenza culturale in atto e che questo sarà il futuro prossimo dell’opera d’arte.
Verificando i tempi della Storia dell’Arte per ritrovare l’eleganza formale e la perfezione tecnica dell’arte greca di età Classica o Ellenistica (metà V sec. – fine I sec. a. C.)  occorrerà attendere Donatello (inizi XV sec. d. C.), mi limito alla constatazione di aspetti formali senza attribuire giudizi di valore artistico poiché, all’opposto, si potrebbe evidenziare come la drammaticità di certe sculture medievali sembrino anticipare l’espressionismo del Novecento.
Ovviamente anche i nuovi media richiedono specifiche competenze e il miglior esempio di “saper fare“ contemporaneo è, secondo Sennett, il gruppo che ha creato Linux: gli artigiani della contemporanea cattedrale informatica.
Non si può non restare ammirati davanti ai rendering di spazi virtuali in 3D, proprio per questo ho apprezzato il film Avatar che a me, per gli aspetti prettamente figurativi, appare in debito con certe cose di Magritte e, probabilmente per mia deformazione mentale, vi ho riconosciuto suggestioni anche da Albín Brunovský .
(Lob der  verworrenen Träume IV (dettaglio) acquaforte 1984 -5.








È un fatto che l’incisione mantenga ancora intatto il proprio «Kunstkönnen» e per realizzarla è imprescindibile il rapporto di fisicità legato a un ritmo vitale, nervoso, tanto è vero che l’incisione va fatta con le mani, con tutte le cose ovvie e anche sgradevoli legate al maneggiare delle sostanze e delle materie che a volte ti invadono, ti macchiano.
Le modalità digitali di elaborazione e fruizione delle immagini non richiedono alcun senso tattile (basta un solo dito per cliccare sul mouse), l’impatto visivo è fortissimo, pure violento, predomina, anche se, indossando complesse protesi, sono già in atto modalità per coinvolgere tutti gli altri sensi; il fatto che questo “gusto” sia generalmente condiviso può spiegare perché una piccola incisione in bianco e nero passi inosservata e perché sempre meno sono coloro in grado di apprezzarne le particolari qualità.
Le immagini visivamente suggestive, efficaci e coinvolgenti, nate per essere la proiezione di (…a da in su per tra fra) uno schermo, solo sullo schermo hanno la loro compiuta ragione che riconosco a pari dignità di qualsiasi altra forma di espressione, tuttavia anche le immagini bidimensionali create al computer perdono efficacia, per quanto di sofisticata definizione, quando vengono trasposte su un altro supporto (per esempio la carta), almeno, da un punto di vista emozionale, a me sembra così.
La peculiarità espressiva di un’incisione è inimitabile e rispetto alle percezioni virtuali possiede quello di cui parlano alcuni teorici: un “Super Senso”, un senso, cioè, che racchiude e riassume tutti gli altri stimolati dal piacere che procura osservare da vicino una piccola, bella acquaforte, annusarla, palparne la carta ascoltando il fruscio e… sfiorare i rilievi di inchiostro addensato equivale ad accedere alla più intima zona erogena di una stampa.

P.S.
Si è fatto riferimento soltanto agli aspetti prettamente tecnici. Se nell’arte esiste un qualche livello di perfezione questo è stato già raggiunto, pertanto oggi, per fare la differenza, bisogna puntare ai contenuti ed ai linguaggi più efficaci per esprimerli e tutto questo merita ben altre considerazioni.

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