mercoledì 2 novembre 2011

INTERLUDIO 0.5

Mi sono sempre proposto come Dilettante Appassionato, è la definizione che meglio si attaglia come eteronimo non essendo un artista; non avendo studiato da storico; quanto a criticare siamo tutti capaci e non basta pubblicare qualche recensione o la presentazione della mostra dell’amico; non ho mai avuto rilasciata una patente di esperto e le incisioni possedute sono poche e disparate per un collezionista.
“Dilettante” nel senso di celebrare il diletto non il pressappochismo, “Appassionato” di una passione spinta fino alla mania, fino al vizio, sì dico proprio vizio, poiché in fatto di arte tutto ciò che non si trasforma in un fervore un po’ perverso resta superficiale.
Adesso però anch’io posso fregiarmi di una specifica qualifica: sono un blogger. Fa effetto quando in televisione senti qualcuno presentato così, spesso con l’aggiunta di indipendente, poi ci rifletti è capisci che non vale un cazzo, ma è comunque una forma di riconoscimento d’identità trendy.
Questo blog non è nato con una struttura premeditata, si è andato configurando come una silloge di ispirazioni fortuite, per quanto mirabili.
A poco meno di un anno dall’apertura del blog, sempre più spesso mi trovo a fare riferimento a quanto già scritto nei post precedenti, forse la “funzione esistenziale” del blog si è già esaurita e le iniziative tendenti a “regolamentare” e “normalizzare” le libere forme di espressione in rete non fanno sperare nulla di buono, ovvero, per altri, rappresentano il primo passo verso il controllo auspicato.
Forse è sotto l’influenza inconscia di questo spirito di conclusione che ho scritto i prossimi due post che, non a caso, pongono il problema della memoria da tramandare: la “Disparizione Suprema” alla quale si riferiva Mallarmé in una lettera a Cazalis del 1867.
Non ha più senso riproporre il gioco di prestigio quando il “trucco” è stato scoperto e anche la barzelletta nota a tutti non fa più ridere.
Non si tratta di un momento di debolezza, di incipiente intorpidimento, confessione d’impotenza, disillusione, presa di coscienza dell’inutilità… o qualche altro genere di crisi.
Lontano dai compiacimenti dell’introspezione sono assillato da quello che ho da dire non dal dire. Non so cosa farò, non c’è nulla di preordinato, però so di certo che in questa missione senza oggetto, persino difficile da definire, occorre evitare la tentazione del quietismo e quella, più grave, del fatalismo.
So di essere alla mercé di una realtà che mi supera e nel cuore di questa esperienza non posso sottrarmi all’ossessione grandiosa e delirante della necessità.
In tutto questo c’è molta “messa in scena”, un desiderio d’ingannare innanzitutto me stesso, di vivere intellettualmente al di sopra dei propri mezzi, ma con una aspirazione alla disfatta dato che il fallito, a un certo livello, è incomparabilmente più attraente di colui che è riuscito.
Vedo nei continui rimandi per non ripetermi il sintomo inequivocabile che, almeno sugli aspetti generali, ho già detto tutto quanto avevo da dire e per le situazioni contingenti resta valido il principio espresso nel post DOVERE DI CRITICA (ancora un rimando) http://morsuraaperta.blogspot.com/2011/02dovere-di-critica.html «…non sprecar parole per “le cosine e la cosacce”».
Sempre più spesso si tende a considerare delle “Gran Cose” anche le “cosine”, per non dire delle “cosacce”: tutto deve essere ”evento”.
Nel campo dell’incisione il solo, unico, vero evento possibile è il momento in cui si alza il foglio umido dal piano del torchio nella stampa della prima prova. In quel momento non vi sono folle che assistono e partecipano, l’incisore e solo con se stesso: «La relazione di un uomo con la sua arte contiene implicitamente tutto quanto serve ad accrescere l’uomo e l’arte. Tutto il resto è perdizione».
…E se lo ha scritto Paul Valery…

Nessun commento:

Posta un commento