domenica 13 maggio 2012

MI HA SCRITTO BARTOLINI

Luigi Bartolini
Ragazza alla finestra
Acquaforte, 1928 / 29
250 x 195

















PROLOGO
È incredibile, sono eccitatissimo, non sto nella pelle…: mi ha scritto Bartolini.
L’unico, il grande Luigi Bartolini un mito dell’incisione italiana.
Sì lo so che Bartolini è morto (Cupramontana, 08/02/1892 –Roma, 16/05/1963), proprio in questo consiste il prodigio: probabilmente si è creata una smagliatura nell'universo, una qualche finestra spazio-temporale consentendo a Luigi Bartolini, che evidentemente segue ancora con attenzione i fatti di questa terra, d’inviarmi una sua lettera manoscritta materializzatasi sulla mia scrivania e che pubblico immantinente.

Egregio signor Del Vero,
Ho piacere che i suoi scritti abbiano dato argomento per esprimere alcune mie buone ragioni e avendo trovato la possibilità di fargliele recapitare spero abbia la compiacenza di pubblicarle.
In riferimento al suo più recente scritto posso dirle che io non partecipai mai a concorsi, non tracciai mai una linea per la speranza di un premio. Diversa cosa furono il premio del Ministero alla Mostra Nazionale del Bianco e Nero in Firenze che vinsi con Morandi nell’estate del 1932 e poi i riconoscimenti della Reale Accademia e della seconda Quadriennale del 1935.
L’”invito” stigmatizzato nel suo ultimo post (si dice così nevvero?) rappresenta una delle solite lusinghe, o, diremmo, illusioni, speranze vane, e che poi, come il solito, il povero artista resta con un pugno di mosche in mano. Tutti chiedono, insomma e – quando c’è da comprare – tutti si stringono nelle spalle. Intanto il povero artista ha faticato, comprese le spese di spedizione a ufo.
Del resto non è da illudersi. Mandai alla Mostra alla Bibliothèque National ed anche li non erano che scrocconi.
Al termine della mostra mi scrissero se ero disposto a cedere gratis (in grazioso omaggio) oh belin!
Chiedere dei graziosi omaggi, a questi lumi di luna, dagli artisti o è una carognata o è una mascalzonata.
E gli americani di Chicago sa cosa mi hanno fatto: han rifiutato (dico: rifiutato) tutte 4 le acqueforti che avevo loro mandato.
All’estero, questo si sa, nessuno compra roba di italiani ed è cosa non giusta.
Ma lei li conosce bene quei signori di Chicago?
È sicuro non si trattò di commercianti che accettano le acqueforti purché costino 10 lire?
E del resto io dalle mie stampe non ho mai tratto più di 10 esemplari per ciascuna, quindi preferisco regalarle. Ed infatti infiniti scrocconi le hanno avute da me per regalo.
Creda, caro Del Vero, le mie acqueforti sono buone, ed io posseggo il bel disegno e l’estro dei grandi massimi incisori. Soltanto ché si sa , in Italia, ancor oggi, se fosse stato vivo anche Rembrandt sarebbe morto di fame con le sole incisioni. Infatti , per vivere, io sono stato costretto a fare scuola, ad insegnare il: “dato il lato costruire il triangolo equilatero”. Il che non significa che io non faccia la scuola bene, ossia con il dovuto zelo e con molto profitto da parte delle scolaresche: come stanno ad informare le note dei miei superiori.
La non vendita è colpa della ignoranza del pubblico, il quale non capisce le mie stampe, mentre lei che è intenditore sottile, mi ha scritto che le capisce, ed altri artisti le capiscono; anzi posso dire che ove si tratti di regalarle tutti le capiscono ed allora, anzi, sorton fuori intelligenti a capirle ed a chiedermele in regalo.
Le acqueforti bisogna venderle agli intenditori: i quali sono pochi, ma ci sono. Roberto Longhi acquisto un esemplare della mia “Ragazza alla finestra” pagandola £ 500 (cinquecento) accompagnata da un biglietto con su scritto: con ciò non intendo aver pagata l’acquaforte perché essa vale di più delle mie 500 lire.
Chi credesse che io vivo di denaro si ingannerebbe terribilmente. Prenderebbe un granchio astronomico costellare. Prenderebbe la costellazione intiera del Granchio.
La mia diciamola onestà, per non chiamarla arte del coglione, non è mai invitata a pranzo.
È eresia e grave asserire che le acqueforti debbono andare incontro al pubblico. Io il pubblico non lo conosco. Sono un altero uomo che spero morire prima di abbandonare la mia alterigia. A chi sta bene è così; a chi non sta bene è lo stesso.
Non sono certo io, artista purissimo uno da prendersi per fame.
Ed è inutile domandare, a me, acqueforti di genere, diciamo così, cattedra, aulico, preistorico, untuoso e neppure di genere celebrativo. Io celebro la poesia, sua maestà la poesia e basta.
Quel che conta è che l’opera – quadro acquaforte gesso argento – sia arte. Le opere d’arte sono poche. Ma lei questo lo sa meglio di me.
Ho aderito all’invito del Sindacato del Bianco e Nero ed a impugnarne le ragioni di esistenza. Ho spedito le mie acqueforti e disegni alla Direzione della R. Calcografia, riducendo i prezzi a un minimo mai praticato, pretendendo sempre una dichiarazione di riscontro giacché non credo che vi sia minchione il quale mandi in giro cose di sua proprietà, senza farsi prima consegnare una regolare ricevuta.
Cosa me ne è venuto? Nulla. Vi sono state delle esposizioni e le acqueforti acquistate non sono state le mie mercé il Sindacato. Furono acquistate –ohibò! Opere di Pinchi Pallini dell’incisione, di poveri diavoli che non pagano la carta che sprecano. Inoltre debbo, per lealtà ed anche nel mio interesse far notare che non stà [sic] bene che il Fiduciario del Sindacato si ponga nei cataloghi in prima fila ed in prima pagina.
Quante volte ho reclamato la restituzione delle mie opere e quante volte ho chiesto di far dunque animo e prospettare la mia situazione a chi di dovere.
Risulterà per voi del secolo XXI di gran attualità sapere che sono stati, nella mia abitazione, due finanzieri (guardie di finanza) a dimandare quali siano i miei introiti nella qualità di “pittore”. Ho risposto loro “Sono due [anni] che non dipingo più perché non ho denari per acquistare tele e colori. In quanto alla mia attività di incisore all’acquaforte io a fare l’incisore ci ho sempre rimesso. Incido acqueforti dal 1914. Non ho mai avuto denari per potermi acquistare un buon torchio (e, prova ne sia, che le mie acqueforti sono difettose dal lato stampa)”.
Chi guadagna vendendo acqueforti è una consorteria. Sono i copisti delle fotografie, quelli che sanno piazzare la loro produzione presso i mediocri, la quale traduzione altrimenti non servirebbe a niente. È deplorevolissimo che il gusto del pubblico sia così basso da preferire lo ex-libris insignificante e banale ad una delle mie acqueforti. Non si educa il gusto del pubblico incoraggiando la produzione di banalità, di rancidumi come in generale sono gli ex-libris.
Le mie stampe sono finitissime, superbe di ispirazione, ricche di mestiere. Ma il mestiere, caro Del Vero, tutti sanno che in me è più che altro nel genio. Con il mestiere si fanno le acqueforti in perfetta prospettiva, e perfettamente borghesi. Con il mestiere si fanno, all’acquaforte, i ritratti dei morti tratti da istantanee a piccolo formato. Ma non si fanno le mie acqueforti. E tutti quelli che si son provati ad imitarmi, supponendo che bastasse la semplice vena, hanno invece battuto le testa sul muro, accorgendosi che l’apparentemente facile equivale alla inimitabile poesia di Orazio: che sembra facile soltanto agli studenti di Liceo, ma non a Carducci, ma non a Leopardi.
Dica la verità, caro Del Vero: di me qualcuno ancora parla male.
Io ho molti nemici, questo è vero, perché reo di aver strigliato gli asini letterati anziché d’aver leccata loro la coda. Ma in compenso mi è caro pensare che li ho sempre avuti e che essi sono l’indice, giustappunto, del mio valore.
Io non sono come mi hanno descritto i due o tre nemici che ho a Roma.
Non bisogna, caro Del Vero, misurarsi con il palmo burocratico-borghese-legale-galateo, ma piuttosto volersi bene in nome dell’arte, ossia in nome del sacrificio che noi artisti facciamo vivendo in mezzo a gente comune.
Io ho solo desiderato gran pace, caro Del Vero, gran raccoglimento per poter lavorare, ossia dipingere, scrivere poesie incidere acqueforti. Ho bisogno d’avere intorno un ambiente molto educato, o, perlomeno poche rotture di c. (giacché non le merito).
Il più bel progetto è quello di andare in pensione. Lo confesso candidamente. Chiudersi dentro uno studio e mettersi, senza più rotture, a lavorare. Io, per me se ci fosse un eremo dove non toccasse di andare vestiti da frati zoccolanti e dove si potesse dare ogni tanto una guardata ad una ragazza (per ispirazione) (gli altri ridono? ridano bene: ma è così e credo che tutti siano d’accordo nel considerare la bellezza della creatura femminile, mentre la maschile non mi interessa e la trovo idrofoba) andrei in quel convento e vorrei stampare una acquaforte al giorno, con la didascalia d’una poesia al giorno. Poi tranquillamente morire. Ecco il mio vero, il mio unico programma.
[di lato per traverso]
Mi creda con saluti cordiali, aff.mo Luigi Bartolini.

EPILOGO
A parte qualche minimo “raccordo” logico la lettera apocrifa di Luigi Bartolini, è stata composta con citazioni tratte dalla corrispondenza “Bartolini – Petrucci, 1930/1941” pubblicata nel catalogo “Luigi Bartolini alla Calcografia” (edizioni De Luca, 1997).
Il materiale è talmente vasto che su ciascuno dei temi toccati dalla lettera si potrebbe costruire un saggio, seppur con considerazioni a volte contraddittorie nel tempo (per esempio la partecipazione ai concorsi e l’acquisto da parte di Longhi pare non siano propriamente come le racconta qui).
Chissà se questa possibilità di comunicazione con l’aldilà non si ripeta con altri temi e con altri maestri del passato: le loro parole risultano, come si vede, di assoluta attualità.


3 commenti:

  1. ...sono allo stesso tempo divertito e commosso! Complimenti Onorio!

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  2. Non è un commento ma una semplice segnalazione.Sto leggendo "Storia della Bruttezza" di U. ECO. Trascrivo quanto sta scritto a pag.360: ...Per distrarsi e occupare le interminabili ore, ricorse alle sue cartelle di stampe e allineò i suoi Goya. I prinmi stati di certe tavole dei Capricci, alcune prove riconoscibili dal tono rossastro, acquistate in passato nelle aste a peso d'oro, lo rasserenarono, ed egli si sprofondò in quelle seguendo le fantasie del pittore, preso dalle sue scene vertiginose,dalle sue streghe a cavallo di gatti, dalle sue donne che si sforzavano di strappare i denti di un impiccato, dai suoi banditi, dai suoi succubi, dai suoi demoni e dai suoi nani. Poi percorse tutte le altre serie delle sue acqueforti e delle sue acquetinte: i Proverbi......./ Joris-Karl Huysmans - A ritroso. Ribadisco, è per me solo una segnalazione e null'altro. Mi associo ai complimenti di Andrea.

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    1. Grazie per la segnalazione che ho inserito nella, ancora scarna, pagina “Incisione & Letteratura”

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