UNA VITA, foglio 12 Declino 1884, acquaforte part.
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Riflessione oziosa durante la visita della mostra su Klinger a Bologna:
Da
cosa dipende l'importanza di una mostra?
Da
come è organizzata e allestita o dal valore dell'artista presentato?
È
ovviamente preferibile che ad essere "curata" fosse la qualità di
ambedue gli aspetti, ma...
Sono due le mostre, attualmente allestite in Italia, che vedono la presenza di Max Klinger.
UN GUANTO,
foglio 9 Rapimento 1881 acquaforte e acquatinta 119 x 269
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MAX
KLINGER
L'INCONSCIO DELLA REALTÀ
La
mostra “Max Klinger. L’inconscio della realtà” nasce dalla generosità e
dalla sensibilità della professoressa Paola Giovanardi Rossi che, nel 2011, ha
deciso di dare in comodato alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
l’intera sua collezione di 116 incisioni del grande artista tedesco (Lipsia
1857- Groβjena 1920), costituita
nell’arco di 25 anni.
Klinger
realizzò in tutto quattordici "opus", così amava chiamare le sue
serie di incisioni in analogia con le composizioni musicali, in mostra vi sono
otto cicli completi che comprendono i fogli più famosi: Eva e il futuro (1880);
Intermezzi (1881); Amore e Psiche (1880); Un guanto (1881); Una vita (I884);
Drammi (1883); Un amore (1887); Quattro paesaggi (1883).
Inoltre,
per valorizzare ulteriormente la figura di Klinger sono esposti anche un
dipinto (Tre donne nel vigneto, 1912), due sculture in bronzo (Cassandra,
1895-1903 ca, e Busto di Elsa Asenijeff, 1899-1900) provenienti dalla
Collezione privata Siegfried Unterberger di Merano e un pastello (Ritratto di
signora, 1915) prestato da un collezionista privato, per un totale quindi di
120 opere in mostra.
La
mostra, dichiara Francesco Poli curatore insieme alla professoressa Giovanardi, "... ha un’articolazione espositiva impostata principalmente sulla scansione, lungo le pareti, dei gruppi di
incisioni degli Opus, in modo che
ogni serie possa essere vista (e “letta”) come una “costellazione” autonoma ma
anche, allo stesso tempo, come una parte funzionale alla variegata partitura
dell’opera complessiva di Klinger, evidenziando con la massima chiarezza
possibile la sua affascinante e inquietante visione artistica in bilico fra il
mondo delle visioni interiori e quello della realtà.”
In
questo abbozzo di recensione mi limiterò a riportare le mie impressioni sulla
mostra in sé, non azzardo il tentativo
di commentare l'opera di Klinger che può contare su prestigiosi saggi, da
quello di De Chirico pubblicato in "Il Convegno" nel 1920 in occasione
della morte de maestro di Lipsia, ai due validi testi in catalogo firmati dagli
stessi curatori; particolarmente utili le osservazioni iconografiche e
iconologiche di Francesco Poli sui diversi cicli.
Diciamolo
subito brutalmente, come accade ormai sempre più spesso, il catalogo appare
meglio curato della mostra.
Gli
esemplari esposti sono tutti di splendida qualità di stampa con le loro
cartelle originali, malamente presentate all'inizio del percorso espositivo,
peccato che le buone intenzioni sulla "leggibilità" siano
praticamente vanificate.
L'uniformità
delle cornici insieme alla ordinata disposizione lineare assicurano rigore
all'impaginazione della mostra, ma non può bastare neanche se l'illuminazione è
adeguata, infatti l'illuminotecnica, riuscendo ad equilibrare le incisioni
esposte con gli affreschi dei Carracci, è l'aspetto più curato di un
allestimento che si limita ad appendere al chiodo i quadri e che avrebbe
meritato qualcosa di più.
Le
opere disposte su doppia fila hanno sempre la letale conseguenza di risultare
troppo in alto quelle della fila superiore e troppo in basso quelle della fila
inferiore, se poi ad essere collocate a due metri di altezza sono incisioni da
dieci centimetri...: altro che "leggibilità".
Solo
il possesso personale può consentire l'orgasmo di avere il foglio tra le mani,
nel caso della pubblica fruizione si dovrebbe comunque assicurare la visione,
seppur protetta, a distanza ravvicinata che è il solo modo per apprezzare
l'incisione di piccolo e medio formato. Ricordo una mostra su Piranesi alla
Fondazione Mazzotta di Milano in cui tutte le stampe, accostate alle lastre
originali, erano corredate da una lente di ingrandimento.
Non
sono sicuro che quelli della fondazione CaRiBo siano consapevoli del
"tesoretto" affidatogli, forse è già tanto che si siano decisi ad
esporlo e a finanziarne la pubblicazione, ma queste sono solo le considerazioni
emotive di un appassionato incompetente che pretenderebbe di vedere anche
le incisioni sempre valorizzate al meglio.
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