giovedì 11 dicembre 2014

MAX KLINGER

UNA VITA, foglio 12 Declino 1884, acquaforte part.

Riflessione oziosa durante la visita della mostra su Klinger a Bologna:
Da cosa dipende l'importanza di una mostra?
Da come è organizzata e allestita o dal valore dell'artista presentato?
È ovviamente preferibile che ad essere "curata" fosse la qualità di ambedue gli aspetti, ma...



Sono due le mostre, attualmente allestite in Italia, che vedono la presenza di Max Klinger.

UN GUANTO, foglio 9 Rapimento 1881 acquaforte e acquatinta 119 x 269
Qui ci si riferisce alla mostra di Palazzo Fava a Bologna che chiuderà il 14 Dicembre, l'altra "Incubi nordici e miti mediterranei, Max Klinger e l'incisione simbolista mitteleuropea" è allestista a Colonnata, presso lo "Spazio delle arti - La Soffitta", a cura di E.Bardazzi, G. Ballerini e M.D. Spadolini, fino al 18 Gennaio 2015.


MAX KLINGER 
L'INCONSCIO DELLA REALTÀ











La mostra “Max Klinger. L’inconscio della realtà” nasce dalla generosità e dalla sensibilità della professoressa Paola Giovanardi Rossi che, nel 2011, ha deciso di dare in comodato alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna l’intera sua collezione di 116 incisioni del grande artista tedesco (Lipsia 1857- Groβjena  1920), costituita nell’arco di 25 anni.
Klinger realizzò in tutto quattordici "opus", così amava chiamare le sue serie di incisioni in analogia con le composizioni musicali, in mostra vi sono otto cicli completi che comprendono i fogli più famosi: Eva e il futuro (1880); Intermezzi (1881); Amore e Psiche (1880); Un guanto (1881); Una vita (I884); Drammi (1883); Un amore (1887); Quattro paesaggi (1883).
Inoltre, per valorizzare ulteriormente la figura di Klinger sono esposti anche un dipinto (Tre donne nel vigneto, 1912), due sculture in bronzo (Cassandra, 1895-1903 ca, e Busto di Elsa Asenijeff, 1899-1900) provenienti dalla Collezione privata Siegfried Unterberger di Merano e un pastello (Ritratto di signora, 1915) prestato da un collezionista privato, per un totale quindi di 120 opere in mostra.

La mostra, dichiara Francesco Poli curatore insieme alla professoressa Giovanardi, "... ha un’articolazione espositiva impostata principalmente sulla scansione, lungo le pareti, dei gruppi di
incisioni degli Opus, in modo che ogni serie possa essere vista (e “letta”) come una “costellazione” autonoma ma anche, allo stesso tempo, come una parte funzionale alla variegata partitura dell’opera complessiva di Klinger, evidenziando con la massima chiarezza possibile la sua affascinante e inquietante visione artistica in bilico fra il mondo delle visioni interiori e quello della realtà.”



In questo abbozzo di recensione mi limiterò a riportare le mie impressioni sulla mostra in sé,  non azzardo il tentativo di commentare l'opera di Klinger che può contare su prestigiosi saggi, da quello di De Chirico pubblicato in "Il Convegno" nel 1920 in occasione della morte de maestro di Lipsia, ai due validi testi in catalogo firmati dagli stessi curatori; particolarmente utili le osservazioni iconografiche e iconologiche di Francesco Poli sui diversi cicli.
Diciamolo subito brutalmente, come accade ormai sempre più spesso, il catalogo appare meglio curato della mostra.
Gli esemplari esposti sono tutti di splendida qualità di stampa con le loro cartelle originali, malamente presentate all'inizio del percorso espositivo, peccato che le buone intenzioni sulla "leggibilità" siano praticamente vanificate.
L'uniformità delle cornici insieme alla ordinata disposizione lineare assicurano rigore all'impaginazione della mostra, ma non può bastare neanche se l'illuminazione è adeguata, infatti l'illuminotecnica, riuscendo ad equilibrare le incisioni esposte con gli affreschi dei Carracci, è l'aspetto più curato di un allestimento che si limita ad appendere al chiodo i quadri e che avrebbe meritato qualcosa di più.

Le opere disposte su doppia fila hanno sempre la letale conseguenza di risultare troppo in alto quelle della fila superiore e troppo in basso quelle della fila inferiore, se poi ad essere collocate a due metri di altezza sono incisioni da dieci centimetri...: altro che "leggibilità".
Solo il possesso personale può consentire l'orgasmo di avere il foglio tra le mani, nel caso della pubblica fruizione si dovrebbe comunque assicurare la visione, seppur protetta, a distanza ravvicinata che è il solo modo per apprezzare l'incisione di piccolo e medio formato. Ricordo una mostra su Piranesi alla Fondazione Mazzotta di Milano in cui tutte le stampe, accostate alle lastre originali, erano corredate da una lente di ingrandimento.
Non sono sicuro che quelli della fondazione CaRiBo siano consapevoli del "tesoretto" affidatogli, forse è già tanto che si siano decisi ad esporlo e a finanziarne la pubblicazione, ma queste sono solo le considerazioni emotive di un appassionato incompetente che pretenderebbe di vedere anche le incisioni sempre valorizzate al meglio.


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