I miei maestri,
le mie xilografie
«Mon oeuvre n’est pas inspirée par je ne
sais quelle grace de Dieu
ou par un
amour extraordinaire des gens, mais par l’esprit de refus,
par la haine
de ces artist qui ne savent que ramper,
pour lesquel
l’art n’est plus qu’un moyen de réeussite sociale
et auxquels je
veux montrer de quoi est capable quelcu’un qui aime son travail»
Josef Vachal
A propos
de l’art de l’estampe et plus spécialement de la gravure sur bois
Praha 1932
SOLOMON E SHALAMIS – SHIR HASHIRIM, 2013 |
Fino ai miei 18 anni alla Galleria Nazionale di
Valle Giulia si entrava gratuitamente. Ci andavo spesso solo per vedere i nudi
della Diana Efesina di Sartorio, per trovarmi accanto allo sguardo allucinato
del Sant’Antonio di Domenico Morelli e per immaginarmi la fiamme che avevano
avvolto il filosofo nolano di Giulio Bargellini, anche se in quella
raffigurazione invece delle fiamme scaturivano ninfe, Meduse decapitate ed il
cavallo Pegaso. A quei tempi la Galleria aveva anche una piccola saletta oggi
demolita - Cartago delenda est -
dedicata all’incisione e al disegno. Vi avevo visto qualche foglio di Fattori,
di Dachiardi, di Morandi, di Bartolini, di Signorini, ma quelle minute non mi
avevano ancora infiammato, il mio cuore era tutto per le allegorie di
Bargellini. Complice del mio iniziale disinteresse per l’incisione era l’aula
di grafica di via Ripetta, una sorta di fonderia che serviva solo a consumare
inutilmente rame e zinco, ricordo persino un mio collega incidere un grande
ritratto di Totti urlante dopo un gol. Ricordo anche l’ironico e vernacolare
apostrofare romano del professore di incisione Duilio Rossoni, rivolto ad uno
studente che passava le ore di lezione a preparare lastre raschiando i contorni
della matrice con una rumorosissima lima, creando un rumore infernale: «ee
cchissei Sirvio Pellico?».
NUPTIAE, 2005 |
LE NOZZE MISTICHE DI ELEN VAUGHAN
STUDIO PER NUPTIAE, 2005 |
Ho iniziato comunque a
«grattare legni» nei primi anni di Accademia in volontario conflitto con il
resto dei miei colleghi. Dai miei primi assalti contro il legno con piccole
sgorbie cinesi molto economiche risultarono una serie di figure che non
rispondevano alla mia volontà di dotarle di quelle linee sottili e avvolgenti che avevo visto
in un libro che Rossoni custodiva nel cassetto della sua scrivania. Ricordo
ancora quando gli regalai la mia prima prova ricambiata con quel prezioso
manuale degli anni Trenta, La moderna
xilografia in Italia di Luigi Servolini. Duilio era comunista, Servolini
fascista, ottimo acquafortista il primo, modesto xilografo l’altro, ma
“fascistissimo” ed essere “fascistissimo” negli anni Trenta significava avere
cattedre, scrivere e pubblicare libri, vendere ai musei ed esserne direttore,
quando uno come Luigi Bartolini vendeva si e no qualcosa presso i corniciai
romani (ho un catalogo di vendita di una mostra di quegli anni: una xilografia
di Servolini costava 150 lire, una acquaforte di Bartolini solo 70). In quel
libro Servolini aveva inserito tutti i grandi xilografi italiani, da
Cambellotti a De Carolis, da Morbiducci a Da Osimo, da Attilio Giuliani a Italo
Zetti. Dopo aver visto una Vesta che attizza il fuoco sacro sotto una splendida
quercia di Cambellotti avevo praticamente deciso di abbandonare la pittura e di
dedicarmi a tempo pieno alla xilografia. Mi si era aperto un intero universo,
Duilio si liberò invece di quel volume come ci si libera di un vestito usato e
fuori moda. Non gli dissi mai quanto quel suo gesto condizionò tutte le mie
scelte successive.
IRIS, 2007 |
Il mondo di quel libro era
però perso per sempre, gli esempi da seguire e le vite da imitare si potevano
trovare solo nei volumi da cercare in qualche negozio d’antiquario. Come un
pesce che risale la corrente inseguivo nelle biblioteche e nelle librerie le
pagine dimenticate di vecchie riviste con le xilografie originali o riprodotte,
guardavo le foto di questi maestri al loro tavolo di lavoro e allestivo il mio
studio – una modesta stanza in un piccolo appartamento nel quartiere Prati –
nello stile di ottanta anni prima, con tanto di sedia Savonarola ammirata nello
studio di Cambellotti, ma scomodissima.
Seppur orfano di “padre” –
non in senso letterale, ovviamente, ma di una guida – e nonostante i miei
maestri ideali fossero oramai tutti morti, gli eredi erano pur sempre
disponibili a mostrare lo studio paterno ad un giovane artista. Avevo, infatti,
bisogno, oltre che delle pagine stampate, di respirare almeno l’aria che li
aveva circondati, di ammirare le stesse prospettive, di sfiorare i loro
strumenti di lavoro sperando in un’immaginaria quanto improbabile trasmissione
osmotica di capacità. Ho potuto vedere così le sgorbie di Cambellotti, le
matrici di De Carolis, gli zinchi di Sartorio, ho avuto in regalo i bulini di
Attilio Giuliani con cui ancora adesso incido e ho sfogliato nello studio di
Morbiducci, immerso tra le sue sculture, le preziose cartelle con centinaia di
disegni, studi di nudo, volti maschili e femminili, delineati con brevi ma
sicuri tratti, quasi un manuale di anatomia, meglio di Andrea Vesalius.
ANARCADIA, 2008 |
Ma né gli strumenti né i tavoli da lavoro
ricostruiti nel mio studio potevano restaurare le atmosfere di allora,
inimitabili: De Carolis a colloquio con D’Annunzio durante
l’occupazione di Fiume, Attilio Giuliani sommergibilista durante l’attacco nel
porto di Alessandria, Cambellotti a passeggio nella campagna romana con Sibilla
Aleramo e Giovanni Cena, Sartorio a Weimar a scambiare opinioni sulla pittura
con Von Stuck. Il mio professore di pittura al massimo parlava di Caravaggio
con accento abruzzese, e mai fece il seppur minimo cenno al pittore di Monaco,
alla sua splendida villa né, tanto meno, alle sue splendide acqueforti.
Rossoni aveva invece
affrescato insieme a Ferrazzi il mausoleo di Aqui con le scene dell’Apocalisse,
aveva imparato a dipingere nello studio di Ziveri – che ancora negli anni
Cinquanta insegnava a dipingere la modella senza tener conto di certe
“stravaganti” teorie – aveva inciso con Ciarrocchi tante lastre sedendo con lui
lungo i declivi marchigiani, era stato assistente di un calcografo come Bianchi
Barriviera e di uno xilografo come Mino Maccari, aveva modellato fontane con
Leoncillo e conversato amichevolmente con Luzi e Bilenchi. La mia presunzione
lo doveva aver colpito un giorno a lezione quando gli parlai di Bargellini come
del più grande pittore italiano di tutti i tempi, addirittura meglio di
Raffaello che allora non capivo. Duilio conosceva bene l’opera di Bargellini,
gliene aveva parlato Ziveri che apprese la tecnica dell’affresco lavorando come
suo assistente per gli affreschi della Banca d’Italia. Almeno con Duilio avevo
trovato una linea diretta che, nella mia ingenua presunzione di studente, mi
legava al mio eroe di allora: Bargellini-Ziveri-Rossoni-Parisi. Solo che Duilio
non dipingeva come Bargellini, anzi quasi neanche dipingeva, incideva solo
all’acquaforte e di nudi non ne voleva sentir parlare, solo di paesaggi
marchigiani, di alberi e vallate. Più tardi ne avrei anche capito il valore, ma
per il momento a me interessava solo il nudo e l’allegoria più complessa. Di
incidere bottiglie e alberi su metalli proprio non ne avevo la benché minima
intenzione, avevo già in mente la mia prima serie organica di xilografie. Il
tema prescelto era una eterogenea combinazione tra contadini ed eroi
dell’antichità, il miles agricola in
chiave omoerotica. Li avevo derivati, quei contadini seminudi, dai dipinti ad
olio di Oskar Martin Amorbach, pittore della secessione di Monaco, traducendoli
su legno. Mi ricordo quando regalai a Duilio la prima prova della serie, lui la
sdegnò e la giudicò esteticamente impraticabile.
PASIPHAE-SHEMOT, 2009 |
Incidendo quelle prime xilografie con le difficoltà
tecniche di un principiante avevo provato un’emozione simile a quella estatica
degli incisori ed illuminatori medievali pieni di fede che incidevano nel legno
per ornare i vangeli, anche se il mio, di vangelo, era già allora meno santo.
A Duilio non stavo
simpatico, credo gli desse molto fastidio l’arroganza di un ventenne che si
riteneva più bravo di lui, pure mi indicò alla classe come l’unico giovane
dalle idee chiare, idee sbagliate ma chiare, provocando da parte di qualche
“povero asino” quell’invidiuzza innocua. Di parlare di tecnica xilografica,
però, proprio non ne voleva sapere. Lui, acquafortista, vagheggiava sulle
preziosità di Callot e di Goltzius e non era interessato, diceva,
all’ebanisteria.
PANTOCRATOR, 2010 |
Ho cercato, dunque, uno xilografo che mi desse
udienza – merce rara in quegli anni di litografi e serigrafari – e grazie ad un
amico ho incontrato Sigfrido Bartolini, dal quale ho appreso qualche trucco del
mestiere. Gli invidiavo l’anno di nascita, la prima edizione dei Canti Orfici, una dedica di Francesco
Nonni attestante il fatto i due si fossero almeno incontrati, la possibilità
che gli si era presentata di poter illustrare un libro e di averci potuto
impiegare più di un decennio ed infine l’essersi comperato una casa
ottocentesca coi proventi di una sola cartella di grafica. Sigfrido aveva avuto
come padre spirituale Ardengo Soffici, cui le mie xilografie non sarebbero
piaciute, e come non sarebbero piaciute a Soffici così non piacquero nemmeno a
lui. Conservo una sua lettera in cui mi scriveva: “non sei antico come Düre e
Soffici che erano moderni, sei solo vecchio come De Carolis”.
PROSERPINE IN HELL, 2010 |
Il più importante esempio per la mia vita da
artista e da xilografo l’ho avuto invece da Umberto Franci della scuola del
libro di Urbino, quella scuola dove durante l’age d’or di Castellani se si veniva trovati a dipingere piuttosto
che ad incidere venivano immediatamente comminate severe pene corporali.
Franci
lavora ancora tutti i giorni, dice che non riesce proprio a non farlo: alle
pareti conserva i lavori di una vita, sul tavolo i fogli appena disegnati,
matrici e schizzi, carboncini e acquerelli, «ah sì, quella l’avrò fatta almeno
una ventina d’anni fa» ed invece era il 1937. Nelle mie visite si racconta,
spiega, ricorda i suoi amici che per me hanno il sapore dell’eroe mitologico,
parla del suo amico Antonello Moroni e di quando andavano assieme a pescare,
del suo maestro Delitala, quando gli ho chiesto della misteriosa tecnica di
Ettore de Giorgio mi ha risposto enigmatico con la stessa frase che il maestro
gli diede quando lui stesso gli pose la medesima domanda: «io ho faticato
tanto, fatica anche tu».
PROSERPINE IN HELL 2, 2010 |
SHULAMIS – SHIR HASHIRIM, 2014 |
Nel suo studio di Urbino oltre mezzo secolo di storia sembra niente. Una volta gli chiesi quale era la formula per realizzare delle opere degne e lui, parafrasando Napoleone («per fare le guerre ci vogliono soldi, soldi, soldi»), mi rispose sorridendo: «disegnare, disegnare, disegnare».
L’insegnamento
più intimo e profondo me lo ha dato a 98 anni: «spero di arrivare a 100
riuscendo ancora a disegnare e ad incidere perché dopo non c’è niente, dio non
esiste!».
Raramente
parlo delle mie incisioni. Come già mi si rimproverava ai tempi dell’accademia,
mi si fa torto ora di essere eccessivamente “passatista”. E veramente, ancora
oggi, deve suscitare turbamento questa definizione se molti addirittura si
rifiutano di guardare le mie stampe anche solo per furore polemico.
LAMED VAV, trittico, 2012-2013 |
FRANCESCO PARISI, 2014
NOTA A MARGINE
Sperando di non
interferire troppo con il testo originale dell'artista mi riservo solo questa
breve considerazione conclusiva.
Il desiderio di
questo blog di ricevere le parole dirette degli artisti pare costituisca una
pretesa che pochissimi sono in grado di assecondare. Si scambia il blog per un
tram con fermata a richiesta e non si comprende che non si pretendono giustificazioni o autocritica né proclami o manifesti
teorici di poetica... semplicemente sentirsi raccontare quel qualcosa che
chissà quante volte è stato ripetuto ospitando un visitatore nel proprio
atelier.
Francesco Parisi ha
rievocato gli anni della sua formazione e i primi incontri, accompagnandoli con
alcune delle xilografie realizzate negli ultimi dieci anni che sono state tutte
intagliate a bulino su legno di testa, di bosso e pero, e stampate manualmente
su carte giapponesi tramite la stecca di bosso - come ci riferisce l'artista - "...per controllare ogni linea e
distribuire quelle piccole veriazioni di nero che rendono meno fredda una
xilografia".
È naturale che
all'occhio critico dello stesso autore le prime opere possano apparire superate
per molti aspetti, ma dal punto di vista documentario esse rappresentano
imprescindibili testimonianze, pertanto, considerando il periodo e le
circostanze narrate nel testo, non poteva mancare uno sguardo alle opere coeve
e grazie alla cortese concessione dell'artista pubblichiamo
"Cerveteri" una delle primissime xilografie realizzate, databile al
1994.
Parisi, dopo
qualche prova scolastica calcografica, rivolge tutto il suo interesse alla
xilografia che diviene non solo la sua forma espressiva prediletta, ma anche
oggetto di studio e indagine storica che lo ha portato, tra l'altro, a curare i
cataloghi dell'opera grafica di Cambellotti e Morbiducci.
CERVETERI, 1994 |
In
"Cerveteri" l'uso delle sgorbie connotano un linguaggio molto diverso
dagli sviluppi che avrà nella opere successive caratterizzate dalla virtuosa
sottigliezza di un segno lineare e anche il soggetto sembra appartenere ad un
altro ambito di ricerca figurativa, ma è mia opinione che proprio a questa
incisione, che raffigura la Necropoli della Banditaccia dell'antica città
etrusca, si annoda già il ruolo fondativo che Parisi attribuisce al mito
nell'elaborazione della sua arte. I miti alludono ad un substrato comune,
all'archetipo, a tutto ciò che, oltre la mera soggettività, può convertirsi in
veicolo o luogo di incontro per una cultura e quindi per la sua arte.
Ah, l'arte! L'arte
che non serve a nulla e che salva! L'arte che non sta in parlamento perché non
è votata. L'arte che esiste mentre tutto fugge. La vita fugge, l'attraversiamo
e fugge e fugge anche il suo fatale complemento: la morte fugge, ci afferra e
fugge.
Eppure la mano
corre sicura sulla matrice, guida il bulino, perchè tutto si può raccontare,
tutto si può ancora rappresentare e ci restano i racconti e le immagini. Ci
resta il mito e ci restano le incisioni di Francesco Parisi che ci auguriamo di
poter ospitare ancora con le sue splendide edizioni illustrate.