venerdì 18 febbraio 2011

SULLA CRISI

Alfred Kubin









Le associazioni attive grazie alle quote versate dai soci … le rassegne, più o meno prestigiose, finanziate dalle pubbliche amministrazioni … le mostre personali organizzate in “luoghi alternativi” dagli stessi artisti (quelli più intraprendenti) che si pagano la pubblicità sulle riviste … queste iniziative, che da sole delineano una condizione desolante, sono sempre esistite e s’intrecciavano a una vivace attività commerciale che ha prodotto anche delle splendide edizioni, ma che oggi risulta dissolta (mi riferisco all’incisione contemporanea, perché diversa è la situazione per l’incisione antica e moderna fino ai primi del Novecento).
Editori e mercanti in quiescenza, chiudono le stamperie, chiudono le gallerie (intendo quelle con una regolare attività commerciale, con tanto di partita IVA, non la sede dell’associazione, cosiddetta “culturale”, che propone solo i lavori dei soci).
Resta veramente poco: il grosso catalogo di vendita per corrispondenza che compensa grazie all’ampissima proposta di generi e prezzi; qualche stamperia che non ha esose spese d’affitto, che organizza corsi per il tempo libero, che ha esteso l’offerta anche al campo del digitale, oppure è anche lo studio dell’artista titolare; nelle cassettiere di qualche galleria le rimanenze di passate tirature e qualche recente foglio in conto vendita per non scontentare l’artista amico da lunga data; da non trascurare il fatto che tra gli artisti incisori non sembra registrarsi un significativo rinnovamento generazionale.
Ciascuno individualmente sceglie se “chiudere bottega” o se continuare equivalga a “vivacchiare”, a “lottare”o a “resistere”.
Tutta colpa della crisi si dice ed è vero, ma la tesi che qui si vuol sostenere è che la congiuntura economica negativa che stiamo attraversando ha un ruolo del tutto secondario in quanto la “crisi” attuale è principalmente “culturale”.
La società contemporanea dominata dallo strapotere e dall’invadenza dei mass media, con la loro capacità immediata di rendere “reale” ogni immagine transiti attraverso di loro, ha inevitabilmente portato allo sgretolamento di una certa idea d’arte. E dato che siamo gente che è arrivata ad esporre tele con un taglio, e a studiarle, e a pensarle come snodo importante della civiltà, non stupisca se oggi ci s’accalca attorno all’ennesimo evento massmediatico e ci si prostra davanti al primo che esponga, per dire, un bambino sbudellato. In pratica, si è già finiti per dare credito a qualsiasi fesseria si dia in forma superficiale, veloce, sgrammaticata (non si capisce mai se per incompetenza o ignoranza) e soprattutto spettacolare.
Non si tratta di respingere l’ennesima calata dei nuovi barbari perché sappiamo che, quando lotta con i barbari, qualsiasi civiltà finisce per scegliere non la strategia migliore per vincere, ma quella più adatta a confermarsi nella propria identità. Esattamente quel che è già accaduto nel campo dell’incisone: orgogliosi di ritenersi marginali e anacronistici, depositari di procedimenti e competenze ritenute superate dalle innovazioni della tecnologia, dalle mutate condizioni culturali e di gusto.
La storia ci insegna che non tutto si dissolve e qualcosa permane sempre, seppur relegato in un ambito, cosiddetto, di nicchia. Il passato è uno dei luoghi privilegiati del senso: bisogna essere consapevoli che non è mai finito, e rivive in ogni gesto che sa suscitarlo dall’oblio. Saperlo suscitare dall’oblio è una questione di fatica, rigore e intelligenza. Appare una battaglia sensata, me ne rendo conto, ma nel momento in cui ci si accorge di averla persa resta sensato continuare a combatterla?

1 commento:

  1. Ritengo si combatta per il piacere di combattere, mio bel blog! Penso a quel guerriero dei Sirventesi del Bertran: "nel furor della battaglia, continua a pugnare, senz'accorgersi d'esser morto"!

    E' il furore che mi accende tutto e non cosa mi procuri!

    Andrea De Simeis

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