venerdì 25 febbraio 2011

SULLE ASSOCIAZIONI

Alfred Kubin







Dallo scioglimento di un precedente sodalizio è sorta, da poco più di un anno, a Bologna, ma senza delimitazione regionalistica, una nuova associazione di incisori la cui attività svolta, per numero di mostre e pubblicazioni tutte ben curate, appare di considerevole mole. A fare la differenza, rispetto ad analoghe iniziative, potrebbe essere il fatto che a guidarla non sia un artista, ma un appassionato collezionista. Ho appreso che numerosissime sono le richieste per entrare a farne parte, ma nonostante la determinazione ad operare una selezione degli associati si ripropongono, per altri aspetti, le stesse considerazioni che avevo svolto in un mio testo sull’associazionismo che qui ripropongo.

Una delle Storie del buon Dio di Rilke inizia così: «Apprendo proprio ora che anche il nostro distretto dispone di una specie di associazione di artisti. È sorta recentemente in seguito ad una necessità che, come possiamo immaginare, era assai urgente, e corre voce che “prosperi”. Quando le associazioni non hanno la più pallida idea del loro scopo, è la volta che fioriscono; hanno sentito che questo è quel che si deve fare per essere una vera associazione. Non è necessario dire che il signor Baum riunisce in una sola persona le funzioni di socio onorario, fondatore, depositario della bandiera e tutto il resto e che gli costa fatica tenere separate tutte le cariche….».
Non c’è campo del pensiero o attività umana che non abbia una qualche associazione e per evitare un’unanime levata di scudi, dico subito che le associazioni alle quali qui si farà riferimento sono, come ci suggerisce Rilke, le associazioni di artisti, più precisamente le associazioni di incisori.
Non si vuole dar corso ad un atto di accusa contro le associazioni: nulla contro le associazioni, che portino pure avanti le loro attività, ma rappresentano un fenomeno peculiare del mondo dell’incisione che non ha eguali in nessun altro campo dell’arte, ed è questo aspetto che qui si vuole commentare comprendendone finalità e limiti.
È alla fine degli anni novanta del secolo scorso che si registra il proliferare di nuove associazioni nazionali, regionali e di condominio. Alcune sedicenti associazioni sono realmente gestite da unsignor Baum”; altre fanno capo ad una galleria d’arte o ad una stamperia e si caratterizzano per essere gruppi chiusi, più o meno ristretti, che portano avanti le loro iniziative gelosamente; altre ancora si caratterizzano per un apparato burocratico dirigenziale: sono previste cariche elettive con tanto di presidente, segretario, consiglieri e vari vice (nel piccolo ricoprire una qualche carica è pur sempre un prestigio). Vi si accede in virtù di una quota associativa che dà diritto a partecipare alle attività promosse dall’associazione: per lo più mostre, talvolta accompagnate da pubblicazione, e sappiamo quale attrattiva può costituire, per un artista (o sedicente tale), vedere il proprio nome e una propria opera stampati da qualche parte.
Da un canto c’è il desiderio di mantenere alta la qualità e dall’altro l’esigenza di ingrandirsi perché ogni quota associativa in più aumenta le possibilità di portare avanti le iniziative. La finalità riportata in statuto parla di diffusione e promozione della cultura dell’incisione, e ci mancherebbe che non fossero tutte associazioni “culturali”. Stante il loro proliferare la conoscenza dell’arte dell’incisione dovrebbe essere patrimonio comune ormai riconosciuto, invece sappiamo bene che non è così. Poiché un altro campo affine in cui è diffuso l’associazionismo è quello degli ex libris, sembrerebbe che la necessità di riunirsi in associazione sia tanto più forte quanto più ristretto è il settore che si vuole promuovere.
Al dunque in cosa si concretizza l’azione di promozione e valorizzazione dell’incisione originale? Presto detto: in una mostra collettiva degli associati, magari con una incisione omaggio in sorteggio tra i visitatori, magari con il catalogo finanziato dall’amministrazione comunale del paesello di turno che, con poche migliaia di euro, può attuare le proprie politiche “culturali”. Sinceramente, in queste fiere della vanità artistica, sembra contare di più l’auto-promozione, che in sé ha una sua umana legittimità e non la si vuole criticare, se non fosse per l’alibi ipocrita del disinteressato impegno “culturale” (l’aggettivo ritorna, ovviamente sempre tra virgolette).
Per quale motivo un artista affermato, di riconosciuta qualità, dovrebbe aderire ad una qualche associazione? Si capisce benissimo perché possa interessare un principiante o un dilettante. È il principio del mutuo soccorso, “l’unione fa la forza”, e si può immaginare che vi sia, per alcuni, anche un’umana esigenza di socializzare e già una così nobile finalità merita rispetto.
Le associazioni regionali non sempre riescono a coinvolgere tutti gli incisori operanti nella regione (chi porta avanti dignitosamente il proprio lavoro ottenendo riscontri perché dovrebbe accompagnarsi a mediocri dilettanti?), all’opposto si verifica che alcuni incisori – sempre gli stessi – aderiscono a più associazioni di diverse regioni. Ognuna è impegnata a curare e difendere il proprio orticello e non mi risulta che tra le diverse associazioni siano ma intercorsi incontri e scambi.
Tutto si consuma entro la ristrettissima cerchia fatta dai diretti interessati e dai loro più stretti parenti, ma a volte neanche questi.
Un’associazione si è proclamata “nazionale” e dopo ripetuti inviti rivolti a tutti gli incisori italiani è riuscita a cooptarne poco più di cinquanta che non so se statisticamente possano ritenersi una percentuale significativa rispetto ai circa millecento riportati nell’annuario pubblicato dalla rivista “Grafica d’arte”, ma, ovviamente, non è una questione di numeri.
Mi sembra una significativa coincidenza il fatto che gli artisti che, secondo i miei poveri gusti, ritengo i più validi dell'incisione italiana, non fanno parte di alcuna associazione (a parte la necessaria eccezione per confermare la regola).
Si può partecipare ai concorsi gratuiti col rischio di essere esclusi o assicurarsi la presenza ad una mostra e in catalogo solo in virtù della quota sborsata. Al dunque è un problema di "visibilità": va conquistata o altrimenti acquistata?

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