lunedì 12 agosto 2013

DILETTANTE-MENTE

Nel mese di Febbraio di quest’anno la Casa Editrice Adelphi ha pubblicato “Goethe muore”, una raccolta di quattro racconti di Thomas Bernhard tradotti da Elisabetta Dell’Anna Ciancia (pp. 111, € 11,00).
Si riportano di seguito alcuni stralci dal racconto “Incontro” (pp. 68 – 71, 87, 88 - 89).
Purtroppo a causa della frammentazione dei brani citati si perde la scansione ritmica che caratterizza la scrittura narrativa di Bernhard, ma qui interessa per l’ironico riferimento a un certo atteggiamento dilettantesco che più volte è stato rilevato soprattutto in alcuni commenti e ci sembra un’ideale lettura in questa mezza estate così meteorologicamente contraddittoria.


Richard Müller
DER KÜNSTER – AFFE, EINEN MARABU MALEND (L'artista - Scimmia che dipinge un marabù), acquaforte 1924.


«… papà suonava la tromba perché suo padre aveva suonato quella stessa tromba. E siccome suo padre quando andava in alta montagna disegnava, anche mio padre in alta montagna disegnava sempre, e aveva sempre nello zaino un blocco da disegno. Come Segantini, diceva sempre, come Hodler, come Waldmüller. Si sceglieva la cima di una rupe e ci si sedeva in modo da avere il sole alle spalle e disegnava. Alla fine avevamo tutte le stanze della casa piene di suoi disegni, non c’era più uno spazio libero, centinaia, se non migliaia di vedute d’alta montagna avevamo in casa, per non essere costretto a guardarle ero costretto a tenere gli occhi continuamente fissi al pavimento, ma questo alla lunga mi faceva impazzire, ho detto. Centinaia di volte ha disegnato o dipinto ad acquerello l’Ortles, centinaia di volte le Tre Cime di Lavaredo e sempre daccapo il Monte Bianco e il Cervino. I grandi maestri, diceva sempre, dipingono o disegnano sempre gli stessi soggetti. Sono grandi solo perché disegnano e dipingono sempre gli stessi soggetti.  Ma quello che dipingeva mio padre era disgustoso, ho detto. Il talento di suo padre, mio nonno, si era in lui totalmente atrofizzato, ma questo non gli impediva di degenerare in una mostruosa produzione di disegni e acquerelli. Il guaio era, ho detto, che molte associazioni culturali avevano allestito mostre con la sua produzione e che i giornali scrivevano solo bene dei suoi disegni e acquerelli, stimolandolo così a una produzione ancora maggiore. E in effetti il suo entourage era stato nel complesso sempre dell’opinione che lui fosse un artista, molti avevano continuato a dire che era un grande artista, e lui aveva finito col credere a quell’ignobile assurdità ed esisteva ormai in quella perniciosa illusione. Volendo dimostrare che cosa sia il kitsch, ho detto, basterebbe esibire un paio di quei disegni o acquerelli paterni. La mia casa è un’esposizione permanente della mia arte, diceva papà, e ogni due o tre settimane appuntava o incollava alle pareti altri disegni e acquerelli, in cantina ne aveva accumulati già a migliaia, ho detto. Io sono lo specialista dell’alta montagna, diceva lui di se stesso, sono ben oltre Segantini, ben oltre Hodler, la cui arte ho superato da un pezzo. Perfino in cucina aveva appeso tutti i disegni che aveva potuto, nella convinzione che proprio i vapori della cucina rendessero perfette le sue opere. Se per diverse settimane espongo le mie opere all’azione dei vapori di cucina, diceva, soprattutto nei mesi invernali e soprattutto nel periodo natalizio, questi fogli ci guadagnano enormemente in fascino.
[…]
Papà sciorinava i suoi disegni e acquerelli nella sua stanza e di ognuno di quei disegni e acquerelli io dovevo dire che cosa rappresentavano e che erano in assoluto i migliori. Se sbagliavo, incapace com’ero, malgrado tutta la buona volontà, di ricordarmi il cosiddetto modello naturale, lui andava su tutte le furie.
[…]
Tuo padre ha pubblicato tre volumi di poesie, ho detto, mio padre ha allestito tante mostre dei suoi disegni e acquerelli, i nostri padri credevano di cavarsela così, con il minimo sforzo, hanno voluto salvarsi aggirando per così dire il problema, da artisti della domenica, ma il conto non poteva tornare. Al contrario, con quei disegni e acquerelli e con quelle poesie, pubblicate per giunta, si erano resi volgari. Di questo si gloriavano, della loro volgarità, ho detto, e ancor oggi, benché siano morti da un pezzo, continuano a gloriarsene. Se a mio padre non riusciva uno dei suoi disegni, dava la colpa a me, ho detto, mi ero frapposto tra lui e la luce, diceva, o con una qualche parola che gli avevo rivolto avevo distrutto una sua intuizione, come era solito esprimersi lui. Comunque ero sempre e soltanto il distruttore della sua natura di artista. Il figlio è al mondo soltanto quale distruttore dell’artista che suo padre è, ha detto una volta mio padre, ti ricordi? ho detto. Dipingeva peggio di quanto non disegnasse, ho detto, come la mamma suonava la cetra così lui dipingeva e disegnava, niente affatto meglio, al contrario, eppure parlava continuamente della sua natura di artista, di quando in quando addirittura di una famiglia di artisti, e intendeva la nostra…»

16 commenti:

  1. Rispondo con alcune considerazioni di Witold Gombrowicz, tratte dal "Diario 1953-1956" Feltrinelli MI 1970.
    "...I programmi non mi spaventavano, perché non ero mosso dal programma bensì dalla necessità. L'artista non è tenuto a ragionare, né a ordinare in fila i sillogismi, egli deve creare un'immagine del mondo, non ricorrere alla mente altrui, bensì all'altrui intuito. Egli descrive il mondo così come lo percepisce, e si aspetta che il destinatario, avendolo percepito nella stessa maniera, dica: sì, è questa la realtà, ed è più reale di ciò che finora ero abituato a considerare realtà - anche se entrambi, l'artista e il destinatario, non saprebbero dimostrare logicamente perché proprio ciò è più reale. Per me era sufficiente che da questa parte mi venisse un soffio di vita autentica. E spingevo alla cieca in questa direzione, semplicemente perché ogni mio passo verso tutto questo rendeva più forte la mia parola e più vera la mia arte. Il resto non aveva alcuna importanza. Il resto - prima o poi - si sarebbe fatto da sé."

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Probabilmente sono io che sto fraintendendo e in tal caso ti prego di replicare per chiarirmi le idee, ma mi sembra che la considerazione di Gombrowicz (che in sé condivido totalmente) se contrapposta al testo di Bernhard sembrerebbe giustificare qualunque velleitario tentativo artistico.
      Il padre/artista/dilettante del racconto sembra muoversi in modo antitetico al percorso di Gombrowicz (non è mosso da necessità, ma segue un “programma”, quello del rispettivo padre, e ricorre “all’altrui intuito” quello dei maestri rispetto ai quali ritiene di non essere da meno).
      Non pensi che, senza necessariamente ergersi a giudice-critico assoluto, debba (o almeno possa) esserci una valutazione contingente, senza dover necessariamente demandare tutto al grande responso della storia?

      Elimina
    2. Anche nel seguire il programma del padre, il figlio persegue comunque una necessità. In base a "Arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte" che è la famosa non-definizione dell'arte di Dino Formaggio, qualcuno potrebbe pensare di giustificare qualsiasi velleità artistica, ma essa indica invece una successiva contestualizzazione del prodotto artistico nell'ambito del proprio tempo per considerarne la qualità.
      Forse non c'è solo una, ma molte valutazioni contingenti possibili, prima del responso della storia. Una storia che a volte si dovrebbe riscrivere.

      Elimina
  2. Considerati i modi urbani e la profondità delle argomentazioni devo premettere un sentimento contraddittorio nell’esprimere la mia opinione: da un canto l’imbarazzo di non risultare all’altezza dei precedenti commenti, dall’altro l’incoraggiamento a partecipare a una discussione lontanissima da certi schiamazzi da cortile.
    In tutt’altro contesto, che evito di specificare per non creare equivoci, ha recentemente fatto scalpore la frase “Chi sono io per giudicare…” pronunciata da una autorevolissima personalità, invece spessissimo nel campo (nei campi) dell’arte si emettono giudizi senza appello.
    Non ci si intende sottrarre alla possibilità/dovere di una valutazione critica, ma tra una posizione “esclusiva” (nel senso che tende ad escutere chi per vari motivi non è organico al sistema) ed una posizione “inclusiva” (col rischio di avallare anche chi non supererà il vaglio della storia), ritengo che spesso si riscontra molto più senso della “ necessità del fare” in un “dilettante” che non nel “professionista” affermato che ripete stancamente la “trovata” che gli ha dato il successo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Difficile immaginare la "trovata" o "furbata" che ha portato al successo nel campo dell'incisione, un ambito generalmente estraneo alle mode e al mercato dell'arte.
      Sicuramente, anche nel "dilettante" vi è una "necessità del fare", che però resta relegata ad un fare "domenicale", al tempo libero; non diventa una necessità di vita !
      Con ciò, non è detto che alcuni dilettanti non possano esprimere qualità e contenuti al pari di un "professionista". Vi sono "professionisti" che, in mancanza di idee, ripetono continuamente la stessa forma, ed altri che si dedicano a sterili rappresentazioni naturalistiche (orticelli, cascinette, nature morte come il loro pensiero).
      Riguardo alla questione della scelta degli artisti nelle varie rassegne e concorsi, ha ragione "Chi sono io per giudicare...", ma ogni curatore si prende la responsabilità di valutare e di selezionare, senza pregiudizi, e in base alla propria esperienza e conoscenza degli autori, gli invitati, e non è detto che siano sempre le scelte migliori, ma sono le "sue" scelte.

      Elimina
    2. Proprio perché il “successo” nel campo dell’incisione è veramente relativo e quasi insignificante se rapportato alla scena dell’arte contemporanea, dovrebbe essere il trionfo della sperimentazione artistica più libera e spregiudicata e invece…
      Probabilmente è vero che non c’è alcuna “trovata” né “furbata”, diciamo che è solo la ripetizione di un “motivetto” che riscuote un certo successo e si potrebbe farne la “Hit Parade” (le tazze rosse che non sono neanche incise; le ali spennate; il volto in controluce… quando a “orticelli e cascinette” hai già detto tutto).
      Sui curatori però la tua è una interpretazione quasi idilliaca, mi starebbe anche bene se si seguissero i principi che tu proponi e sicuramente c’è qualcuno “responsabile” che li applica, ma nella maggior parte dei casi prevalgono proprio i pregiudizi e i favoritismi amicali.

      Elimina
  3. Fuori dalla finzione letteraria, occorrerebbe poter vedere i tanto discussi acquerelli, ma per restare nella finzione letteraria, mi pare di capire che i giudizi del figlio nei confronti del padre (anzi dei padri, perché il proprio dipinge, mentre il padre dell’amico scrive poesie) innanzitutto vogliono esprimere, seppur indirettamente, una contestazione generazionale e non riguardano gli aspetti prettamente artistici (pittorici o poetici), ma quell’attegiamento dei dilettanti connotato negativamente: cioè non di coloro che operano esclusivamente per il proprio diletto anche solo "domenicale", ma di quelli che operando con pressappochismo, superficialità (ritenere che i grandi artisti lo siano solo perché ripetono sempre lo stesso soggetto) e presunzione si affermano e trovano credito anche a scapito di altri più qualificati, ma meno intraprendenti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' vero, non mancano esempi di artisti "famosi" ma non eccellenti nella loro arte, magari anche superficiali e presuntuosi, che si sono costruiti la "carriera" attraverso conoscenze e una certa intraprendenza (generalmente in ambienti culturalmente arretrati, ma non sempre), rispetto ad altri che lavorano nell'ombra e si espongono raramente, pur essendo consapevoli del valore della propria ricerca. Ci sono poi tanti "dilettanti" dotati di vena genuina, ma mancanti totalmente di autocritica, che ambiscono a presentare i loro più che mediocri prodotti in mostre e rassegne nazionali, magari anche internazionali, sostenuti da critici compiacenti, che privilegiano un certo tipo di stereotipi e di "artisticità diffusa".

      Elimina
  4. Mi sembra che si stiano attribuendo responsabilità esagerate ai dilettanti.
    Il fenomeno del dilettantismo riguarda tutte le attività umane e, limitandoci all’ambito dell’incisione, se dal dilettantismo appaiono scaturire dei problemi, i problemi non sono dei dilettanti, ma del sistema e di tutti gli altri che, per contrapposizione, dovremmo definirci dei professionisti, tuttavia sulla definizione non può esserci equivoco: professione o mestiere è l’esercizio di arte o negozio o lavoro per vivere, insomma un incisore per essere considerato un professionista deve vivere delle incisioni che realizza. Non so in quanti oggi riescano a vivere solo commercializzando le proprie incisioni, io non ci riesco e non voglio fare i conti in tasca agli altri, però se a me che sono un incisore, l’incisione dà da vivere perché insegno incisione devo accettare il fatto che posso considerarmi un professionista, ma dell’insegnamento (un professore, un docente…)
    Quindi escludendo coloro che, fatture alla mano e iscrizione alla Camera di Commercio, posso dimostrare di esercitare il mestiere di incisore per vivere, tutti noi che esercitiamo un’altro mestiere per poter continuare ad incidere dobbiamo ritenerci comunque dei dilettanti. Così il ragionamento ci riporta al qualità intrinseca del lavoro artistico che, quando c’è, supera ogni maldestro tentativo di categorizzazione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Verissimo, ciò che rimane è la valutazione del lavoro artistico, che quando c'è supera tutte le categorizzazioni. Ma valutata da chi ? Lo stesso Gombrowicz (Diario 1953-1958, Feltrinelli 2004) scriveva sull'argomento: "I critici vogliono giudicare l'arte ? Prima però dovrebbero arrivare, perché per ora stanno in anticamera e non hanno accesso agli stati d'animo da cui essa deriva. Non sanno nulla della sua intensità". E prosegue "La vulnerabilità dell'arte nei confronti dei giudizi umani è la triste conseguenza del suo orgoglio: Ah ! Io sono superiore a queste cose, io non do peso che ai giudizi delle persone intelligenti ! Finzione assurda: la verità, la dura e tragica verità, è che anche il giudizio di uno stupido ha il suo peso, che anch'esso ci crea e ci modella dall'interno e dall'esterno e si tira dietro conseguenze pratiche ed esistenziali di vasta portata". (..)"Dilettantismo: esprimersi su una materia che non si è in grado di dominare. la verità è che è più facile scrivere sull'arte che fare arte".

      Elimina
    2. Sì è proprio così: “parlare” è sempre più facile di “fare” in qualsiasi campo e allora cosa ci resta?
      A distanza di tanti anni per me è divenuto un vanto l’aver ricevuto, per la mia seconda mostra, una stroncature pubblicata su un quotidiano nazionale, forse una delle ultime che un critico d’arte si sia preso il disturbo di scrivere, ché poi si è capito che conviene solo parlar bene delle proprie iniziative e non perder tempo con quelle degli altri.
      Ma ti confesso che il dispiacere e i dubbi che allora ne derivarono sono nulla in confronto della stretta al cuore che mi ha preso all’idea che mia figlia potrebbe pensarla come nelle citazioni di questo post.
      Nonostante tutto testardamente, ingenuamente, stupidamente… ma anche orgogliosamente e presuntuosamente continuo a provarci, continuo a dipingere e a realizzare incisioni, espressione di quella che io ritengo sia arte. Poi come nella citazione del tuo primo commento, il resto non ha alcuna importanza. Ha scritto Paul Valery:
      “la relazione di un uomo con la sua arte contiene implicitamente tutto quanto serve ad accrescere l’uomo e l’arte. Tutto il resto è perdizione”.

      Elimina
  5. Anche la critica più negativa, come pure il giudizio severissimo espresso dal figlio nel racconto citato, sono comunque il riconoscimento di una identità, esprimono la disponibilità al confronto o il coraggio di scontrarsi con un’altra personalità riconoscendole dignità e memoria.
    Alla stroncatura più feroce non servono le parole, si attua col silenzio che nega anche l’ipotesi di una esistenza.
    Ancor peggio quando il silenzio è dovuto alla sciatteria e alla superficialità di quelle figure (penso in particolare a qualche curatore, ma anche critici, galleristi e oggi anche blogger e responsabili di siti internet) che mancano di dare un semplice cenno di riscontro (magari per comunicare il loro totale disinteresse) a coloro che chiedono di far conoscere il proprio lavoro. Forse, in qualche caso, si ritiene che non rispondere sia l’affermazione la loro superiorità?

    RispondiElimina
  6. Se fossimo su FeceBook taggherei “Mi piace”. Sì mi piace e sto seguendo la discussione con vero interesse. Chissà se il Festival di Bagnacavallo ci offrirà possibilità di dibattiti così aperti e diretti o assisteremo solo alla passerella dei soliti noti?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sì, è una discussione con spunti davvero interessanti. Lasciamo stare Bagnacavallo e la sua "minestra riscaldata all'italiana"; non vedo come possano proporre qualcosa di interessante, finora non hanno saputo allestire che noiose e provinciali manifestazioni. Altro che aperture internazionali; ma per questo ci vorrebbero menti pensanti e non critici integralisti e organizzatori impreparati. Ma questa è un'altra storia.

      Elimina
  7. Temo che l’accusa di provincialismo per Bagnavacallo si indifendibile, ma visto che è stato tirato in ballo faccio notare che c’è un sito ufficiale www.festivalincisione.it, dove è possibile lasciare suggerimenti per il prossimo “Festival”. Prima che venga pubblicato il programma, ritengo che sarebbe una buona occasione se ciascuno proponesse un tema di discussione o una possibile iniziativa, al fine di misurare lo scarto tra aspettative e realizzazione, altrimenti varrà l’alibi di sempre che nessuno ha saputo proporre niente di meglio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "Dilettante-Mente" è proprio il termine che si addice, non solo alle manifestazioni di Bagnacavallo, ma anche alle associazioni di incisori in Italia.

      Elimina