Lo studio |
DANIELE GAY
“Arrivare a casa di Daniele
Gay non è facile. Bisogna arrampicarsi per una stradina stretta e impervia, che
gira intorno a secolari castagni ora e enormi blocchi di roccia, su per i
pendii che sovrastano l’abitato di Torre Pellice. Tra una curva e l’altra
pezzettini di fondo valle si fanno vedere tra le foglie, ma intanto è un bosco
sempre più denso quello in cui ci si trova immersi…“
Così Matteo Sturani inizia
la descrizione della casa di Torre Pellice dove Daniele Gay è nato il 30
Gennaio del 1960.
Nel percorso descritto
sembra quasi di entrare in una incisione di Gay confermando che l’esperienza di
vita, fin dalle primissime relazioni con il luogo in cui si nasce, rappresenta per
un artista un accumulo continuo che germoglia come contenuto della propria
ricerca estetica.
SIPARIO, acquaforte 1996, mm 120 x 175 |
La mia idea è che nella formazione
tecnica e culturale di Gay più dei maestri diretti, cioè i docenti che ha avuto
all’Accademia di Belle Arti di Torino dove ha completato gli studi del corso di
pittura nel 1983, abbiano influito i maestri ideali che Gay si è scelto nella
storia dell’arte.
L’ottocento innanzitutto e
per restare nello steso ambito geografico ritengo che qualcosa rievochi
Agostino Lauro, inoltre ottocentesca è l’idea del paesaggio in cui la natura
traduce un’emozione visiva e si trasforma in specchio dell’interiorità
dell’artista.
Fin dalle prime prove egli
mira ad attingere una dimensione minima dove tutto sia più concentrato
possibile.
LANGHE, acquaforte 1989, 94 x 138 |
Se certe vedute
architettoniche possono ricordare un “fijnschilder”
di Delft, l’immaginario figurativo attinge decisamente alla tradizione
romantica.
Le sue raffigurazioni sono
contemporanee solo perché realizzate oggi, ma qualunque soggetto identificabile
con una indubbia contemporaneità, se rappresentato da Gay risulta come spostato
nel tempo, o meglio sospeso in un tempo non cronologico.
È anche questa sospensione temporale che mi ha suggerito - e mi consente - di scrivere qui ed ora di Daniele Gay incisore facendo riferimento ad opere datate.
In questo particolare momento storico, ho scelto un artista che ormai da tempo non incide quasi più. Non è quindi un caso se abbia scelto di non inviare alcun lavoro per l’ultimo Repertorio di Bagnacavallo e nella mostra collettiva allestita a Caerano lo scorso anno ha presentato lavori del 1995 e solo un soggetto del 2012 caratterizzato da una insolita acquatinta.
In questo particolare momento storico, ho scelto un artista che ormai da tempo non incide quasi più. Non è quindi un caso se abbia scelto di non inviare alcun lavoro per l’ultimo Repertorio di Bagnacavallo e nella mostra collettiva allestita a Caerano lo scorso anno ha presentato lavori del 1995 e solo un soggetto del 2012 caratterizzato da una insolita acquatinta.
EL, acquaforte e acquatinta 2012 |
Se proporre la scelta di
Gay come esempio estremo da seguire comportasse l’estinzione dell’incisione, forse lo riterrei preferibile agli opposti estremismi del
dilettantismo pressappochista e arruffone da un canto e dall’altro il
professionismo incallito di coloro che continuando a ripetere stancamente gli
stessi temi negli stessi modi è come se facessero la calza in modo meccanico.
Prendetelo quindi come un
invito alla riflessione o come pungolo o incentivo o qualunque altra
espressione preferite se anche a voi disturba chiamarla provocazione.
L’incisione si inserisce
nello sviluppo artistico di Daniele Gay come ragione poetica e formale di
assoluta autonomia estetica, infatti non è che abbia smesso di lavorare,
semplicemente ha scelto di privilegiare altre forme espressive mantenendo la
stessa coerente sensibilità e credo che non occorra ricercare specifiche
motivazioni interiori (anche la situazione del mercato avrà avuto la sua parte)
in quanto tutto è riconducibile al normale procedere del lavoro di un artista
che festeggia proprio oggi il suo cinquantaquattresimo compleanno e pubblicare questo
scritto volutamente in questa ricorrenza rappresenta il mio personale augurio.
Una certa invadenza
conseguenza del mio entusiasmo, si arresta di fronte alle esistenze riservate,
pertanto della biografia di Gay trascurerò anche quel poco che conosco e questo
scritto ha, beninteso, il carattere accessorio dell’abbozzo o del testo a
margine da interpretare innanzitutto come tributo personale e anche come spunto
di riflessione etica.
SCOGLIERE FIORITE, acquaforte 1992, mm 90 x 155 |
La tecnica è un momento
inscindibile di quel pensiero che determina l’opera d’arte e non meccanicamente
la sua espressione, si afferma nell’affrancamento dal vincolo che la storia di
un procedimento tecnico può imporre alla libertà delle forme.
In Gay, a fare la
differenza, è la restituzione grafica e anche i sofisticati scanner di oggi risultano indecisi se
considerarle immagini al tratto o tonali per non dire dello strazio della bassa
risoluzione imposta da questo blog, pertanto nessuna delle immagini qui
riprodotte ne consente la comprensione.
A differenza del classico
incrocio di segni che ciascuno può interpretare in modo personale variando la
forma, la dimensione e l’andamento di tratti, il segno di Gay è inimitabile,
intendendo dire non che non sia riproducibile, ma adottandolo si può finire solo
con l’imitare Gay e, probabilmente, è anche per questo che è sempre rimasto
estraneo a quella gara alla reciproca emulazione che si è innescata tra un
nutrito gruppo, quasi un filone, di incisori calcografi che operano tra Torino
e Chieri, al punto che ormai importa poco chi imita e chi è imitato.
Solo una visione
microscopica, col contafili, può
svelare la natura del segno di Gay: non sono i puntini banalizzati dalla
pratica di una millantata minuziosità; graffiando la cera con un fittissimo
groviglio fatto di infinitesimi cerchietti, in alcuni casi scoprendo totalmente
piccole aree della lastra, ricrea quasi la granitura di un’acquatinta, ma senza
l’omogeneità di campitura di quella tecnica.
Sulle superfici risparmia delle irregolari sottilissime
linee bianche come delle fratture, una sorta di craquelé, che rendono le superfici vibranti di riflessi.
Malcon Einaudi riferendosi
ad un’analoga soluzione adottata anche nelle tecniche miste (acquarello e
tempera) li definisce “…una sorta di miniatura mosaicale in sospensione” e Fred
Licht rileva che “l’effetto ha un’impressionante rassomiglianza con i migliori
vetri opalescenti di Tiffany …fa pensare alle strisce di piombo che, con
sinuosa dinamica, legano fra loro i frammenti di vetri”.
Più efficacemente sono come
faglie di continenti che si scontrano e la piccola dimensione è quasi una
necessità tecnica poiché se le aree scoperte della lastra superassero una certa
ampiezza si determinerebbero le cosiddette bruciature.
Animali e paesaggi sono i
soggetti esclusivi di Gay. Animali raffigurati in primissimo piano, mai
inseriti nel loro ambiente naturale, e paesaggi che per quanto antropizzati
escludono la rappresentazione della figura umana.
L’arte d’oggi è in
grandissima parte immaginazione nel senso di contaminazione caotica di elementi
e di piani. Tutto questo, naturalmente, si oppone alla giustizia che infatti
non interessa l’arte d’oggi.
Davanti alla realtà
l’immaginazione indietreggia, invece l’attenzione la penetra, sia direttamente
sia come simbolo. Essa è dunque, alla fine, la forma più legittima di
immaginazione, quella a cui alludono senza dubbio gli antichi testi di alchimia
là dove si raccomanda di dedicare all’opera “la vera immaginazione e non quella
fantastica”.
Importa poco se l’atto
creatore, nel quale si compie l’alchimia della perfetta attenzione, scaturisca
da un’illuminazione, da un lampo creativo oppure si raggiunga con lunghi e
dolorosi pellegrinaggi.
Il collegamento che tradizionalmente
viene fatto tra l’incisione (soprattutto indiretta) e le antiche ricerche
alchemiche non è solo nel processo della morsura quale rivelatrice della forma,
ma nella sublimazione dei numerosi “stati” necessari a rendere un’immagine
nella sintesi unitaria di imprescindibili segni ed è nelle lastre di Daniele
Gay che questa trasmutazione si è sempre compiuta.
Clemente Del Buono
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