Un artista è un
artista qualunque sia il mezzo espressivo adottato.
Così dovrebbe essere, ma
così non è, forse perché sono artisti anche il clown del circo, il musicista,
l'attore e il suo truccatore (make-up
artist) ecc… ciascuno tende a distinguersi specificando, nel campo delle
arti figurative, se è video-artista,
artista performativo, street-artist… oltre ai tradizionalissimi, e ormai
superati, pittore, scultore… quindi se c'è bisogno di precisare che l'artista
in questione è un incisore s'intende già che è fuori da ogni logica del sistema
dell'arte contemporanea dove, per inciso, il clown del circo come artista,
rispetto a un incisore, riscuote più credito.
Ritengo
superfluo chiarire la differenza tra "fare" l'artista ed
"essere" artista", qui provo ad affrontare l‘aspetto dell'essere
e l'idea di artista che si può dedurre da un manuale scolastico di Storia
dell'Arte o dal catalogo di una mostra o visitando un museo… è quella del genio
creatore di capolavori assoluti.
Questa stessa
idea trasposta ai nostri giorni, nel cosiddetto "sistema dell'arte
contemporanea", ha il suo equivalente nell'"ArtiStar", cioè
l'artista affermato, di successo, ben noto, con un stuolo di collaboratori che
realizzano le sue opere e che fa soldi a palate.
Chiunque non
sia arrivato al successo è considerato un artista fallito, ovvero non è un
artista.
Questa è una
concezione che potremmo definire "esclusiva" alla quale si potrebbe
affiancare, se non contrapporre, una concezione "inclusiva" cioè
un'idea molto più larga di arte e di artista.
Non è questione
da poco definire se le arti sono solo quelle canoniche della tradizione e dell'innovazione
o non abbiano pari legittimità anche le cosiddette arti minori e anche arti
stravaganti mai sentite fino al punto di comprendere qualunque attività.
Il problema che
si poneva nel post precedente e al quale provo a dare una mia risposta è se si
può essere considerati artisti (veri artisti) anche senza aver raggiunto il
successo.
Quando dico
"essere considerati" intendo un riconoscimento sociale o pubblico,
perché nel proprio privato ciascuno può ritenersi superiore a Picasso,
l'esempio non è casuale perché misurarsi, per esempio, con Michelangelo qualche
dubbio lo pone anche al più presuntuoso degli hobbysti.
Quando una
inclinazione viene perseguita fino all'estremo possiamo definirla, anche in
senso psicopatologico, una mania e pertanto, in questo strampalato tentativo di
ri-definizione possiamo considerare l'arte come una mania e l'artista come un
maniaco.
La mania del
vero artista non è semplicemente una mania occasionale come per i
"sani" dilettanti.
Dilettanti sono
tutti coloro che esercitano l'arte in momenti di intervallo della loro vita
quotidiana. Il fatto che alcuni possano continuamente, sul luogo di lavoro, in
famiglia, quando fanno la spesa… rompere i coglioni al prossimo vantando
l'ultimo lavoro realizzato o la mostra in programma… non li riscatta.
Al vero
artista, che sia un vero maniaco, interessa solo l'esercizio della sua arte,
gli importa "essere" all'opera e non l'opera che invece è l'interesse
prioritario di chi "fa" l'artista. L'opera, per l'artista che
"È" artista, se mai si realizza è solo un sottoprodotto della sua
mania, una secrezione, anzi non è necessario che vi sia un "prodotto"
che possa essere visto e ammirato, che contabilizzi i “Mi Piace” su Facebook,
perché l'artista può esercitare in segreto, può "essere" ignoto e
invisibile, indifferente all'avere un pubblico.
Lo spettacolo
pubblico (s'intenda la mostra personale, la partecipazione alle Biennali e/o il
post su FacebooK) è un aspetto aggiuntivo al puro esercizio dell'arte; è, caso
mai, compito del gallerista o del mercante che ne fanno un'attività redditizia,
ma dal punto di vista dell'artista il riconoscimento del pubblico e della
critica è un fatto esterno. L'artista, il vero artista, e non importa in quale
campo, è tutto rivolto a sé stesso. La sua arte non si esercita in un momento
di intervallo della sua vita perché non c'è soluzione di continuità tra arte e
vita, perché non c'è un'altra vita, né famiglia, amicizie, divertimenti… non
c'è un riposo dall'arte perché non c'è fatica, né prestazione d'opera rispetto
ad un committente o gallerista o mercante o spettatore. L'arte aderisce
all'artista come il canto e il volo agli uccelli o il nuoto ai pesci… che sono
tutte manifestazione della loro piena vitalità e non un'esposizione di abilità
"artistiche".
Il comportamento
istintivo di una specie animale è l'ideale di una vita d'artista, tutto quello
che ogni vero artista vorrebbe essere ed è.
Attenzione voi che vi siete, più o meno, riconosciti in questo profilo,
abbiamo definito il supremo ideale di perfezione dell'artista che essendo uomo
nutre l'eterna insoddisfazione di non essere animale e forse non riuscirà mai
ad esserlo (Bestie sì, purtroppo
esistono anche tra gli uomini). Da questa osservazione e considerazione di sé
stessi nasce la consapevolezza dei propri limiti e la sensazione di non essere
capiti che non toccherà mai un animale che invece non si preoccupa certo di
poter o voler appartenere ad un altra specie.
So già che risulterà banale dichiarare di essermi riconosciuto in alcuni aspetti di questa ricostruzione e nella banalità ho deciso di affondare fornendo la mia personale versione dei fatti.
RispondiEliminaFare l'artista era quello che mi proponevo fin dall'infanzia. Confusamente pensavo che avrei dovuto studiare, ma mi sembrava tempo sottratto al dipingere, così ho studiato poco e male.
Ho lavorato molto, in modo irruento, perché volevo vedere subito l'opera finita e forse anche perché, inconsciamente, temevo che indugiando avrei visto cadere anche la volontà e la determinazione.
Adesso, vecchio, ho mani arrugginite e pensieri confusi, lavoro poco e assai lentamente, penso che prima di morire devo tirare fuori tutto quello che ho. Questa idea però non mi mette nessuna febbre e mi sembra che non ho niente da tirare fuori, oppure che quel che resta è molto contorto e difficile da districare.
La realtà in sé mi ha interessato poco, anche se, per commissione,l'ho raffigurata, tuttavia sono sempre stato dotato di poca fantasia. Da giovane mi sembrava molto strano avere così poca fantasia e pochissimo spirito d'osservazione, a volte ho pensato che ho fatto l'artista semplicemente perché così avevo deciso. La mia fantasia non era generosa, era una fantasia arida e gracile, avrei voluto avere un paesaggio interiore vastissimo di foreste e invece sono riuscito a strappare pochi fiori languidi ad una terra arida. Mi cullavo nell'idea che più avanti, nel mio futuro, sarei diventato molto dotato d'invenzione e di osservazione.
Adesso il futuro è solo un tratto di strada dissestato già percorso e la fantasia è sparita.
Ho immaginato poche cose e le ho espresse con segni secchi, ma più che essenzialità la mia era avarizia.
È stata forte la determinazione a ignorare i miei difetti, ma a volte mi sono detto la verità, mi sono detto che la mia avarizia non mi piaceva. Avrei voluto incidere lastre vorticose, tumultuose e nello stesso tempo limpide e perfette, ma i miei fogli erano invece di una nitidezza ordinata, pulita e avara.
Ho riguardato le mie acqueforti realizzate per capire come avessi fatto ad inciderle, poi mi sono reso conto che l'indagine era inutile, non imparavo niente dalle mie incisioni: fissarle è come fissare un foglio bianco. Quello che adesso mi sembra il loro vizio essenziale, la povertà di fantasia e il respiro corto, in passato mi sembrava una grazia e ne andavo superbo.
Non ho più nessuna voglia d'inventare, non so se è perché sono vecchio e stanco o perché la mia poca fantasia è morta e non so se piangerla come una perdita o invece salutarla come una liberazione.
Non ho mai concepito la possibilità di lavorare soltanto per me, e il fatto che adesso posso solo aspirare a decifrare me stesso mi sembra una fatica inutile che mi schiaccia e mi paralizza.
Penso che ho sbagliato tutto fin dal primo istante che, ragazzo, mi sono messo a dipingere. Ho accumulato errori su errori. Che stupido sono stato. Ho mandato in giro migliaia di fogli e trovarne uno un vendita su e-bay a dieci euro mi conferma che di me non resterà nulla: una esistenza anomima come tante, consumata nella vana ambizione di essere artista, preferirei rassegnarmi a questa evidenza che, invece, mi procura ancora un senso di inquietudine.
Mi sono anche posto una gran quantità di domande stupide. Mi sono chiesto se disegnare, dipingere, incidere erano per me un dovere o un piacere. Stupido! Non era né l'uno né l'altro. Nel bene e nel male era ed è il mio solo modo di esistere su questa terra.