mercoledì 23 marzo 2011

PRESUNTI MERITI

Richard Müller
Das große Tier II – sitzend (Il grande animale II, seduto)
acquaforte,1919.








Una e-mail da Venezia intitolata “Meriti fasulli”, pubblicata nella rubrica “La parola ai lettori” del numero 76 della rivista “Grafica d’arte”, e la relativa risposta del Direttore, stigmatizzano «…quegli artisti che, nei dèpliant delle loro mostre, citano la presenza nel Repertorio come un titolo di merito». Il Repertorio al quale si fa riferimento è, ovviamente, quello di Bagnacavallo che «…non può essere considerato in alcun modo un titolo di merito dal momento che basta inviare la documentazione richiesta per esservi inclusi».
Tra gli ulteriori meriti dubbi possiamo annoverare:
Dichiarare di aver partecipato ad una certa biennale, pur essendo stati scartati e non essere inseriti in catalogo; è certo un dato di fatto che il lavoro sia stato inviato, ma di per sé può ritenersi un “merito”?
Citare la presenza nella “Raccolta Bertarelli” per aver partecipato ad un concorso che vi depositava tutti i lavori pervenuti, anche quelli non selezionati (rimando al post precedente “Onore al merito”); è un altro dato di fatto, poiché il lavoro si trova effettivamente presso la “Raccolta”, ma in cosa è consistito il merito?
Questi, ed altri che ciascuno potrebbe individuare, sono tutti “titoli” avvalorati dal fatto che mai nessuno si prenderà il disturbo di confutarne il merito.
Vorrei poter leggere lo stesso depliant che ha irritato il lettore veneziano per aver conferma che qualche sedicente “artista” (doverosamente virgolettato) possa considerare l’inserimento nel Repertorio un “merito” e in tal caso la risposta del Direttore coglierebbe, ancora una volta, “Nel segno”.
Generalmente nel depliant è riportato anche il paese dove l’artista è nato senza che questo possa in alcun modo far ritenere che si stia rivendicando un merito e non vorrei che si finisse col sospettare vanterie dietro ogni dichiarazione, ma, evidentemente, la formulazione portava a una tale interpretazione. Tuttavia sono più propenso a credere che ci sia alla base un malinteso generato da quelle cosiddette “Brevi Note Biografiche” che, a dispetto della dovuta sintesi, finiscono col contenere biografia-bibliografia-mostre-premi-dituttoedipiù affastellati spesso con incerta punteggiatura.
Pochissimi sono gli incisori viventi che possono rimandare ad una monografia esauriente sulla loro attività (ché si stenta a disporre anche di quelle sui maestri del passato), pertanto fare riferimento ad una fonte bibliografica in alcun modo può essere intesa come una rivendicazione di merito: semplicemente, per chi ne vuol sapere di più, si rimanda ad un repertorio facilmente reperibile e consultabile (ora anche on line).
Adesso i siti internet rappresentano una valida documentazione dell’attività di un artista, ma permangono ampie lacune.
Vedo meno vanagloria nel fare riferimento ad un repertorio dove si è presenti insieme ad altri cinquecento piuttosto che citare nomi illustri, presunti testimoni, che “si sono interessati alla sua opera…”, magari solo perché, a ben vedere, hanno cortesemente risposto all’invio di una incisione o di una qualche pubblicazione non richiesta; oppure la testimonianza dell’ Affermato Maestro la cui presentazione consiste nello scusarsi per non essere in grado di scrivere una presentazione. Ho fatto riferimento a due episodi concreti (avvalorabili con nomi che in questa occasione non servirebbe chiamare in causa) e all’opposto estremo mi viene in mente Balthus che una volta essendo in ballo una grande mostra e Sabine Rewald era partita dall’America per intervistarlo, chiedendogli quando era nato la risposta fu un sorriso. Fine dell’intervista. E un’altra volta, a John Russel che gli aveva chiesto notizie Balthus rispose con un telegramma che diceva: «Non ho niente da dire. Guardate i mie quadri».
La dichiarazione può anche essere intesa come una esortazione ad interessarsi esclusivamente, o principalmente, delle opere, se di interesse risultano degne, ma non è così ovvio perché l’atteggiamento di Balthus esprime tutt’altro che modestia e sul processo di costituzione dei meriti, reali o presunti, chiariscono benissimo le parole di Giacomo Leopardi: «O io m’inganno o rara è nel nostro secolo quella persona lodata generalmente, le cui lodi non sieno cominciate dalla sua propria bocca. Tanto è l’egoismo, e tanta l’invidia e l’odio che gli uomini portano gli uni agli altri, che volendo acquistar nome, non basta far cose lodevoli, ma bisogna lodarle, o trovare, che torna lo stesso, alcuno che in tua vece le predichi e le magnifichi di continuo, intonandole con gran voce negli orecchi del pubblico, per costringere le persone sí mediante l’esempio, e sí coll’ardire e colla perseveranza, a ripetere parte di quelle lodi. Spontaneamente non isperate che facciano motto, per grandezza di valore che tu dimostri, per bellezza d’opere che tu facci. Mirano e tacciono eternamente; e, potendo, impediscono che altri non vegga. Chi vuole innalzarsi, qualunque per virtù vera, dia bando alla modestia».

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