venerdì 11 marzo 2011

SOTTOSOPRA

Marc Chagall
Al cavalletto
Puntesecca, Tav. 18 per “Ma vie”. Ed. Paul Cassirer, Berlino 1923
















Voleva essere un’annotazione scritta quasi in diretta, ma, essendo monomaniaco, si è rivelata ancora un altro pretesto per divagazioni sopra, o sotto, o tra, le righe.
La mostra dedicata a Chagal col titolo “Il mondo sotto sopra”, aperta fino al 27 Marzo presso il Museo dell’Ara Pacis di Roma, non è una “grande” mostra, ma è una “bella” mostra: misurata, equilibrata, se ne gode la visita senza sentirsi frastornati, senza l’ansia che a volte prende in certe antologiche.
Centotrentotto opere di piccolo o medio formato, per lo più su carta, quasi a corredo dei dipinti esposti, realizzate fra il 1917 e il 1982, ripercorrono l’iter artistico del maestro di Vitebsk. Un piccolo catalogo elenca tutte le opere esposte, ma ne riproduce solo una minima parte accompagnandole con un’ampia scheda di lettura.
Se qui se ne fa cenno è perché l’incisione vi trova una parte non secondaria nel contesto generale, certo comunque una goccia rispetto alla quantità di opere realizzate.
Momenti di vita quotidiana inscenano spettacoli incantati con panorami da fiaba, spazi insondabili, animali variamente ibridati, architetture sghembe… con le rispettive cariche simboliche, non sempre d’immediata interpretazione, che possono entrare in conflitto reciprocamente. Ogni legge di gravità risulta annullata, si trasgrediscono le norme dell’ordine classico cui soggiace solitamente qualunque raffigurazione, un mondo a soqquadro non a causa di catastrofi bensì sulla scia dell’incanto e del piacere.
La “deriva sognate” nella quale Chagall trascina tutti i soggetti della sua produzione fu recepita molto positivamente agli esponenti del surrealismo, che non si stancarono mai di sollecitarlo – inutilmente- ad unirsi ufficialmente al movimento.
Tra le incisioni in mostra quattro tavole per all’autobiografia Ma vie. Quando nel 1922 Chagall lascia la Russia per recarsi a Berlino viene accolto come un pittore affermato grazie al lavoro del mercante Walden. Ben presto l’editore Paul Cassier gli propose di pubblicare il testo autobiografico Ma vie con delle illustrazioni che saranno però stampate autonomamente nel 1923, in quanto il testo si rivelò di difficile traduzione. È proprio per la realizzazione di questo progetto che Chagall apprende le tecniche dell’incisione, maturando rapidamente una notevole abilità e facendone il mezzo espressivo privilegiato per illustrare successivamente le grandi opere letterarie (Le anime morte di Gogol, Le favole di La Fontaine, la Bibbia) per il mercante parigino Vollard. Nelle propria autobiografia intitolata “Ricordi di un mercante di quadri” (Torino 1959, edizione originale Paris 1948), Ambrosie Vollard dichiara: «Ho sempre avuto una grande passione per le stampe. Fin da quando mi allogai in rue Laffitte, verso il 1895, la mia più alta ambizione fu di pubblicare incisioni, ma che fossero opera di pittori. “Pittore-incisore” è un termine di cui si è poi abusato, applicandolo a professionisti dell’incisione che erano tutto fuorché pittori (All’epoca di Vollard l’incisione, utilizzata ancora come mezzo di riproduzione, era prerogativa di abili artigiani ndr.). La mia idea era invece di chiedere delle incisioni ad artisti che non facessero gli incisori di professione. Poteva essere considerato un ghiribizzo: finì per diventare un grande successo artistico.»
Alcuni fogli tratti dal ciclo della Bibbia sono accompagnati dalle lastre di rame originali. Mi emoziona sempre tantissimo poter vedere le lastre perché è lì che il maestro ha messo le mani (feticismo? E se anche fosse?). Nella lastra i valori chiaroscurali si perdono, ma si colgono gli interventi diretti, si riconoscono i ripensamenti, i segni delle diverse tecniche adottate… Il linguaggio grafico di Chagall è immediato e la realizzazione rapida, delinea l’immagine sulla lastra preparata per l’acquaforte senza aver prima realizzato un disegno o un schizzo di studio. La lastra è come un foglio, lascia spesso ampie zone non incise e raramente si spinge fino ai margini incidendo interamente la superficie. La morsura è piana, successivamente interviene con la puntasecca, anche punzonando la lastra, per aggiungere segni o riprenderli e fa uso del brunitoio soprattutto per “sgranare” le aree di acquatinta quando è presente.
Chagall adotta un segno che è l’equivalente delle sua particolare stesura pittorica dove le campiture non sono mai delimitate, i contorni si sfaldano e ogni colore s’intreccia con quelli adiacenti. La stampa in nero nulla toglie al colorismo pittorico, anzi per certi aspetti ne rende le atmosfere più sospese e visionarie.
«Sono sicuro che Rembrandt mi ama!» esclama Chagall nelle ultime pagine del suo racconto autobiografico.
La lettura iconografica e iconologia che si può fare di ogni singola opera prescinde dalla specifica tecnica adottata e se questo fosse un saggio non si dovrebbero trascurare anche le implicazioni storiche e sociali, ma qui solo di incisione su vuol discutere e si può pensare che questi siano solo tecnicismi riservati agli “addetti ai lavori”, invece li ritengo aspetti che un autentico appassionato non può disconoscere. Certo occorre tempo e attenzione per apprezzarne le sfumature. C’è chi colleziona grafica solo perché non può permettersi i costi di un “pezzo unico” e c’è chi per risparmiare ulteriormente colleziona ex libris. A costoro, spinti per lo più dall’ansia dell’accumulo, è precluso ogni godimento estetico (o estatico?). Se ci si appassiona sinceramente all’incisione è per la sua specificità perché l’incisione non è un disegno riprodotto in più copie, il suo segno non è di matita o di penna a due dimensioni, ma è vivo di materia addensata.
Riprendendo la visita della mostra, completano il corpus delle incisioni esposte alcune acqueforti e puntasecca degli anni 1952–56 e quattordici illustrazioni per il ciclo  Colui che parla senza dire nulla” del 1975-76.
Dall’edizione dei “Poèmes”, pubblicati da Cramer a Ginevra sono tratte alcune pagine con le poesie dello stesso Chagall, scritte per lo più tra il 1910 e il 1922, e illustrate, a fronte, da xilografie a colori incise nel 1968. Nelle xilografie non intendeva realizzare delle illustrazioni nel senso stretto del termine, ma rievocare le impressioni della sua giovinezza, la seduzione della città natale, i primi amori, la scoperta di Parigi… restituendo in immagine lo spirito surrealista dei suoi testi.
Tra le litografie segnalo Ia serie intitolata “Nizza e la Costa Azzurra”, tutte numerate e  firmate da Chagal riportano in calce la seguente dicitura: “Ch. Sorlier sculp. Marc Chagall pinx”: cose d’altri tempi, quando l’editore non doveva fingere che fosse stato lo stesso artista a lavorare sulle pietre e al maestro litografo era riconosciuta la dignità del lavoro svolto [per la cronaca è al rientro a Parigi dopo il soggiorno in America durante la seconda guerra mondiale che Chagall incontra, presso Fernand Mourlot, il giovane stampatore Charles Sorlier (1921 – 1990) che diventerà il suo più fidato collaboratore per il resto della della vita].In fondo è tutto qui l’aspetto controverso del concetto di originalità. Come far capire che questi fogli che dichiarano come stanno effettivamente le cose non valgono (commercialmente) meno di altri che non sono mai passati su una “pietra” essendo mere riproduzioni fotografiche? Come si può far intendere a chi acquista certi fogli firmati Guccione che un solo segno di “vera” acquaforte sovrapposto ad una riproduzione non trasforma la base fotografica in una “autentica” acquatinta?
Adesso tutto appare sottosopra, ma a parlare di queste cose si è tacciati di essere “bottegai”, di voler condizionare la libertà espressiva degli artisti, infatti i critici non se ne occupano. In effetti non è che l’ortodossia della tecnica abbia mai garantito il capolavoro, però neanche la trasgresione fine a se stessa. “Quel che conta è l’idea”, si dice, essendo indifferente chi la realizzi materialmente; anche anticamente di rado l’opera era tutta di mano del maestro, piuttosto era frutto di un lavoro di bottega; così nel campo dell’architettura non vi è dubbio che la paternità di un’opera spetti al titolare dello studio anche se il progetto è stato elaborato collettivamente e la realizzazione affidata alle maestranze dell’impresa costruttrice; così anche per le opere concettuali e per tutte le cosidette “installazioni”.
Mi rendo conto che col pretesto di Chagall avevo iniziato a volare alto e mi sto ritrovando a strisciare: ma cosa c’entra la libertà espressiva con lo “spacciare” una tecnica per un’altra?
Pare che ribadendo questo argomento si finisca solo col pestare acqua nel mortaio col risultato che oggi trovare in commercio un’incisione originale di un artista contemporaneo è diventato difficilissimo (qualche catalogo di vendita sopravvive e la via più semplice è divenuta quella di contattare direttamente l’artista), mentre i deprecati fogliacci continuano a vendersi presso tutti i corniciai e se entrando in una qualche galleria vi capiterà di vedere in un angolo una cassettiera, cosa pensate che possa contenere?
Adesso solo perché la stampa digitale è ritenuta cool nel circuito dell’arte “contemporanea” se ne dichiara l’uso volendo apparire al passo coi tempi.
Diversi artisti dedicano ancora una parte del loro lavoro all'espressione grafica, in nulla considerandola un fatto secondario, eppure, anche nel caso dei più noti e corretti, quante pagine vengono dedicate ai loro dipinti (o sculture) e quante righe negate alle loro stesse incisioni? Così nel caso degli incisori "puri" il destino sembra ineluttabilmente segnato.

Là où se pressent des maisons courbées
Là où monte le chemin du cimetière
Là où coule un fleuve élargi
Là j’ai rêvé ma vie

Marc Chagall, Poèmes, Cramer Éditeur, Genève 1975, pag. 21

(Laddove si accalcano case ricurve / Laddove sale il cammino al cimitero / Laddove scorre un fiume e s’ingrossa / Là ho sognato la mia vita)

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