L’autenticità di un artista è innanzitutto nella
sincerità con sé stesso.
L’artista
deve sempre rispondere a quello che sente, mai costringersi a rappresentare
quello che non sente.
Supponiamo
che un artista in un determinato momento provi la sincera necessità di
occuparsi con la sua arte della crisi economica che attraversa il paese. Deve
farlo! Se non lo fa tradisce sé stesso. Se invece (perché questo gli piace, o
perché sente che è il suo desiderio più profondo) ha voglia di rappresentare il
proprio orto che vede dalla finestra perché ha seminato cavoli e in quel
momento i cavoli occupano i suoi pensieri, è giusto che li rappresenti. Se in
quel momento, lui che ha i pensieri occupati dai cavoli (i cavoli suoi) si
obbligasse a comporre un opera sulla situazione di crisi economica,
realizzerebbe un’opera falsa, anche se, grazie al mestiere, potrà risultare ben
composta ed eseguita.
Fatta questa premessa prendo a pretesto i cataloghi
pubblicati in occasione della terza edizione del “Premio Santa Croce, ex libris
e piccola grafica”, la cui mostra è stata allestita presso il Centro per le
Arti Contemporanee di Villa Pacchiani dal 12 Gennaio al 17 Febbraio, e della
Prima Biennale dell’incisione Italiana Contemporanea intitolata a “Carmelo
Floris” allestita ad Olzai dal 6 Ottobre 2012 al 6 Aprile 2013.
Sia chiaro che non scrivo per attribuire meriti all’una o
all’altra, anche se sono rilevabili significative differenze:
- tanto attenti, ordinati e puntigliosi nell’organizzazione
e nel rapporto con gli artisti sono apparsi i curatori di Olzai / quanto
“frettolosi” (per limitarci a un affettuoso eufemismo) sono risultati i dis-organizzatori
di Santa Croce;
- rigorosamente italiana con una concezione regionalistica
la “Biennale di Olzai” / esterofilo piuttosto che internazionale il “Premio
Santa Croce”;
- diversissimo infine il modo di concepire i “premi”, e si
potrebbe continuare…
L’analogia che accomuna le due rassegne riguarda gli
artisti e poiché ritengo che non sia una conseguenza delle scelte dei
rispettivi curatori, è a loro, cioè agli artisti incisori, che mi rivolgo
direttamente, mi limito agli italiani volutamente generalizzando e ignorando
pretestuosamente eventuali eccezioni a quanto sto per sostenere.
Gli incisori italiani invitati nelle due rassegne sono
(quasi) tutti ben noti, dal punto di vista generazionale vanno da 35 a 87 anni
d’età (in pratica sono rappresentati tutti i gradi di classificazione degli
artisti in carriera).
Tutti (quasi, ma non lo ripeterò più) con un riconoscibile
linguaggio espressivo e un percorso artistico lungo e consolidato. Mi sembra
fin troppo “consolidato”, tanto che sarei più portato a dire “cristallizzato”.
Per dirla in maniera più diretta se invece di essere l’edizione
del 2013 fosse stata quella del 1993 (vent’anni addietro) e, a parte le ovvie
ragioni anagrafiche, per qualcuno anche del 1983, riconosceremmo gli stessi
artisti con i medesimi temi e identico segno.
Coerenza direte voi, io non ne sono più tanto sicuro.
Vent’anni nei quali abbiamo assistito a sconvolgenti
cambiamenti, bastino ad esempio quelli dei mezzi e sistemi comunicativi, eppure
nella totalità degli incisori italiani contemporanei (ho mantenuto la promessa
di non precisare più “quasi”) si registra una rassicurante ripetitività, non un
minimo sussulto, è come se, per riprendere la metafora iniziale, si avessero in
mente sempre e solo i “cavoli” propri.
Stiamo vivendo la maggiore accelerazione delle
comunicazioni e la più grave crisi economica. Si sente spesso dire che i
momenti di crisi possono costituire anche delle occasioni per “forzare” quel
cambiamento che in una fase tendenzialmente positiva non avrebbe motivo di
attuarsi.
È il discusso ruolo sociale dell’artista che si offre
ancora al dibattito, ma anche a limitarci agli aspetti prettamente artistici,
all’opera d’arte in relazione al suo tempo, occorrerà un altro post con
specifiche considerazioni per chiarire le possibili relazioni tra i linguaggi
dell’incisione e lo zeitgeist nelle sue molteplicità.
Qui ed ora mi limito a rilevare che la questione centrale
non consiste nell’invenzione di segni inattesi ma nel ritrovamento di relazioni
nuove e ogni linguaggio può risultare attuale se – come diceva Orazio nell’Ars
poetica - “un accostamento inconsueto farà di una parola conosciuta una
parola nuova”.
In questo momento storico in cui non c’è più alcuna forzata
esigenza di mantenere la coerenza stilistica funzionale a quel riconoscimento
immediato imposto dal mercato che è praticamente inesistente, poiché la più
alta tiratura che un incisore può realizzare è quella del bigliettino d’auguri
da scambiare con gli amici, ripetere gli stessi modi e gli stessi temi è come
fare la calza in modo meccanico.
Se la premessa iniziale dichiarava tutta la mia comprensione
per le personali scelte creative, si insinuano dei dubbi quando nel lungo
periodo risulta che qualcuno ha rappresentato sempre e solo i cavoli propri
dalla semina al raccolto alla cottura nelle diverse possibili ricette fino alla
digestione e… ché sempre cavoli...
Risparmiatemi il tentativo di replicare facendo riferimento
alla bottiglieria di Morandi, il paragone non regge ed è inappropriato. Se si
contestualizza storicamente la sua opera (di Morandi intendo) risulta
rivoluzionaria non solo perché delineata in contrasto con la retorica di quel
tempo, ma anche rispetto a certe soluzioni di oggi, garbate, certo,
tecnicamente impeccabili, ma per lo più noiose e spesso banali, incapaci di
accendere una scintilla di curiosità e interesse.
Proprio gli artisti più consolidati, più coerenti e con la
personalità più forte dovrebbero sempre, in certo qual modo, rischiare
qualcosa. Altrimenti, porca puttana, a che scopo essere artisti? Solo per
morire un giorno di troppa coerenza? Sorte maledettamente desolante…
Oggi, più che mai, sembra che negli incisori italiani
abbondi il “pusillanimerismo” in senso estetico principalmente e anche etico.
La pusillanimità è qualcosa di insano.
Non ho la ricetta individualizzata per ciascuno né un
decalogo generale da suggerire a tutti. Sento solo che così non può andare.
L’artista con la precisione di un sismografo dovrebbe
registrare le minime scosse che si verificano al margine della sua esistenza e
della sua coscienza, prendere nota delle fenditure e dei corrugamenti che
vengono a prodursi sul terreno dei suoi pensieri e delle sue emozioni.
Provate!
Osate!
Cosa avete ormai da perdere?
È solo una mia geremiade?
Forse la mia
percezione è condizionata da molti fattori, per questo accuso innanzitutto me
stesso.