venerdì 26 dicembre 2014

AUGURI RICAMBIATI


PER UN 2015 DI BUON LAVORO


AB/arte












ALI









Rosario AMATO 










Gaetano BEVILACQUA
http://www.gaetanobevilacqua.blogspot.it/
www.bulino.com


















Luigi CASALINO 


















CINQUESENSI











Graziella DA GIOZ











EDIZIONI DELL’ANGELO












GOLDMARK




Paolo GUBINELLI









L'ARTE E IL TORCHIO












Celia LEWIS















Adam LUNARIS













Raffaello MARGHERI




















Bruno MISSIERI













Movimento Arte del XXI Secolo










Museo Civico delle Cappuccine













 Guido NAVARETTI















OFFICINE INCISORIE









PRINTED EDITIONS






Gianfranco SCHIALVINO


















SFERA DESIGN










Guido SIGNORINI











Gianni VERNA


giovedì 11 dicembre 2014

MAX KLINGER

UNA VITA, foglio 12 Declino 1884, acquaforte part.

Riflessione oziosa durante la visita della mostra su Klinger a Bologna:
Da cosa dipende l'importanza di una mostra?
Da come è organizzata e allestita o dal valore dell'artista presentato?
È ovviamente preferibile che ad essere "curata" fosse la qualità di ambedue gli aspetti, ma...



Sono due le mostre, attualmente allestite in Italia, che vedono la presenza di Max Klinger.

UN GUANTO, foglio 9 Rapimento 1881 acquaforte e acquatinta 119 x 269
Qui ci si riferisce alla mostra di Palazzo Fava a Bologna che chiuderà il 14 Dicembre, l'altra "Incubi nordici e miti mediterranei, Max Klinger e l'incisione simbolista mitteleuropea" è allestista a Colonnata, presso lo "Spazio delle arti - La Soffitta", a cura di E.Bardazzi, G. Ballerini e M.D. Spadolini, fino al 18 Gennaio 2015.


MAX KLINGER 
L'INCONSCIO DELLA REALTÀ











La mostra “Max Klinger. L’inconscio della realtà” nasce dalla generosità e dalla sensibilità della professoressa Paola Giovanardi Rossi che, nel 2011, ha deciso di dare in comodato alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna l’intera sua collezione di 116 incisioni del grande artista tedesco (Lipsia 1857- Groβjena  1920), costituita nell’arco di 25 anni.
Klinger realizzò in tutto quattordici "opus", così amava chiamare le sue serie di incisioni in analogia con le composizioni musicali, in mostra vi sono otto cicli completi che comprendono i fogli più famosi: Eva e il futuro (1880); Intermezzi (1881); Amore e Psiche (1880); Un guanto (1881); Una vita (I884); Drammi (1883); Un amore (1887); Quattro paesaggi (1883).
Inoltre, per valorizzare ulteriormente la figura di Klinger sono esposti anche un dipinto (Tre donne nel vigneto, 1912), due sculture in bronzo (Cassandra, 1895-1903 ca, e Busto di Elsa Asenijeff, 1899-1900) provenienti dalla Collezione privata Siegfried Unterberger di Merano e un pastello (Ritratto di signora, 1915) prestato da un collezionista privato, per un totale quindi di 120 opere in mostra.

La mostra, dichiara Francesco Poli curatore insieme alla professoressa Giovanardi, "... ha un’articolazione espositiva impostata principalmente sulla scansione, lungo le pareti, dei gruppi di
incisioni degli Opus, in modo che ogni serie possa essere vista (e “letta”) come una “costellazione” autonoma ma anche, allo stesso tempo, come una parte funzionale alla variegata partitura dell’opera complessiva di Klinger, evidenziando con la massima chiarezza possibile la sua affascinante e inquietante visione artistica in bilico fra il mondo delle visioni interiori e quello della realtà.”



In questo abbozzo di recensione mi limiterò a riportare le mie impressioni sulla mostra in sé,  non azzardo il tentativo di commentare l'opera di Klinger che può contare su prestigiosi saggi, da quello di De Chirico pubblicato in "Il Convegno" nel 1920 in occasione della morte de maestro di Lipsia, ai due validi testi in catalogo firmati dagli stessi curatori; particolarmente utili le osservazioni iconografiche e iconologiche di Francesco Poli sui diversi cicli.
Diciamolo subito brutalmente, come accade ormai sempre più spesso, il catalogo appare meglio curato della mostra.
Gli esemplari esposti sono tutti di splendida qualità di stampa con le loro cartelle originali, malamente presentate all'inizio del percorso espositivo, peccato che le buone intenzioni sulla "leggibilità" siano praticamente vanificate.
L'uniformità delle cornici insieme alla ordinata disposizione lineare assicurano rigore all'impaginazione della mostra, ma non può bastare neanche se l'illuminazione è adeguata, infatti l'illuminotecnica, riuscendo ad equilibrare le incisioni esposte con gli affreschi dei Carracci, è l'aspetto più curato di un allestimento che si limita ad appendere al chiodo i quadri e che avrebbe meritato qualcosa di più.

Le opere disposte su doppia fila hanno sempre la letale conseguenza di risultare troppo in alto quelle della fila superiore e troppo in basso quelle della fila inferiore, se poi ad essere collocate a due metri di altezza sono incisioni da dieci centimetri...: altro che "leggibilità".
Solo il possesso personale può consentire l'orgasmo di avere il foglio tra le mani, nel caso della pubblica fruizione si dovrebbe comunque assicurare la visione, seppur protetta, a distanza ravvicinata che è il solo modo per apprezzare l'incisione di piccolo e medio formato. Ricordo una mostra su Piranesi alla Fondazione Mazzotta di Milano in cui tutte le stampe, accostate alle lastre originali, erano corredate da una lente di ingrandimento.
Non sono sicuro che quelli della fondazione CaRiBo siano consapevoli del "tesoretto" affidatogli, forse è già tanto che si siano decisi ad esporlo e a finanziarne la pubblicazione, ma queste sono solo le considerazioni emotive di un appassionato incompetente che pretenderebbe di vedere anche le incisioni sempre valorizzate al meglio.


martedì 2 dicembre 2014

100 DI QUESTI GIORNI










Con il numero attualmente in distribuzione la rivista "Grafica d'arte" compie venticinque anni di ininterrotta pubblicazione. Nell'occasione si terrà a Milano, il 4 Dicembre alle ore 18,00, presso la Sala del Grechetto della Biblioteca Centrale di Palazzo Sormani, un incontro, con interventi di Elena Pontigia, Patrizia Foglia e Giorgio Marini, durante il quale verrà distribuito ai presenti una copia omaggio del numero 100.
"Grafica d'arte" è l'unica rivista in Italia che, come recita il suo sottotitolo, si occupa esclusivamente "di storia dell'incisione antica e moderna e storia del disegno", si potrebbe concludere con un purtroppo, intendendo purtroppo l'unica non riferito alla rivista in sé, ma perché la pluralità dei punti di vista nell'informazione è sempre auspicabile. In effetti, in tanti anni, non sono mancati i tentativi di varare altre pubblicazioni sullo stesso argomento volendo dimostrare di essere diversi. Ricordiamoci che venticinque anni addietro, nell'altro secolo, per pubblicazione si intendeva esclusivamente una stampa cartacea e realizzare una rivista non era impresa semplice, non lo è ancora oggi, anche ad immaginarla solo "on line", perché non può avere la staticità di un sito ne l'estemporaneità di un twitter o di blog (come questo ovviamente). Perché i tentativi fatti non hanno funzionato? Erano solo iniziative velleitarie? Il "Mercato" non ha risposto? Di fatto tutti fallimenti che non meritano di essere ricordati, neanche per stigmatizzare chi ha cessato la pubblicazione dopo aver incassato la sottoscrizione di qualche misero abbonamento.
Chi non ha condiviso e non condivide l'impostazione di "Grafica d'arte" non apprezzerà neanche questo numero 100 "speciale", anche nel senso di monografico, dedicato all'incisione visionaria. Come si precisa nell'introduzione al fascicolo "...la vastità di questa produzione... è tale che ha posto un serio problema ai curatori... a causa del ridotto spazio a disposizione a fronte del numero di opere e di artisti meritevoli di essere menzionati o commentati". Possiamo rilevare che si sono volutamente trascurati artisti ampiamente storicizzati (Dalì, Magritte... tanto per intenderci) per segnalarne altri più contemporanei che privileggiano ancora l'incisione: inutile quindi fare le pulci su gli assenti più o meno eccellenti.
Venticinque anni sono tanti e se diciamo un quarto di secolo fa ancora più effetto. Un quarto di secolo durante il quale molte, moltissime cose sono cambiate. C'è chi sostiene che oggi una rivista cartacea non ha più senso, che in rete c'è molto di più..., proprio per questo pubblicare, regolarmente e con puntualità, quattro numeri all'anno più il supplemento intermedio che si è aggiunto dal 1995, appare ancor più significativo dopo tanti anni. Per quanto i detrattori sostengano che la rivista può interessare solo uno sparuto numero di integralisti ancorati ad una tradizionale concezione dell'incisione ormai superata, evidentemente il numero di abbonati è sufficiente a garantire all'editore la distribuzione, un numero sufficiente di lettori che apprezzano la coerenza e condividono le scelte artistiche e culturali, diciamo, della rivista, per non personalizzare troppo, ma è ovvio che si tratta dell'impostazione che il direttore, nel suo non facile ruolo, ha perseguito con continuità e che, nonostate le critiche che di tanto in tanto giungono nella rubrica "La parola ai lettori", sono ribadite nei cento numeri fin ora pubblicati.
L'augurio personale che mi sento di fare è indiretto auspicando che già dal prossimo numero e per altri cento a venire, "Grafica d'arte" possa iniziare a documentare la rivalutazione dell'incisione contemporanea.

martedì 11 novembre 2014

INCISIONE E INTERNET

Le "Edizioni dell'Angelo" segnalano un video che documenta la realizzazione di una recente edizione. È vero, come si afferma nel comunicato stampa di presentazione, che "è quasi un tutorial...", ma non essendo un "vero" tutorial è probabile che il senso pratico di alcune sequenze non risulti chiaro a chiunque, tuttavia, tra i tanti video in rete che, in maniera più o meno esaustiva, documentano la realizzazione e la stampa di un'incisione, questo si caratterizza per una sua bizzarra visionarietà e per una dose di quell'autoironia che contraddistingue chi, nel fare il proprio lavoro, riesce ancora a divertirsi.
Il regista, con paradossale anacronismo, "strizza l'occhio" a Claude Merimes, attenuando così quella che potrebbe risultare una narrazione pedante.
Insieme al LINK riportiamo uno stralcio del comunicato stampa di presentazione del video e, per concludere, una ulteriore considerazione generale.

BREVE VIAGGIO ATTRAVERSO UN LEPORELLO
《... Il video è stato ideato e realizzato da Mark Taylor nell'estate 2014, durante il suo soggiorno a Palermo. Girato in più riprese mentre si lavorava alla realizzazione del libretto della collana "Leporello" con il testo "Un emisfero in una chioma" tratto dai "Petits Poemes" di Charles Baudelaire e dedicato a Jeanne Duval [...]
Il punto di vista è quello di un visitatore curioso e interessato che si aggira liberamente negli spazi di lavoro dello studio/laboratorio seguendo le fasi di realizzazione e immaginando le relazioni, le corrispondenze, le suggestioni evocate dal testo e dall'immagine contenuti nel libretto [...]
È quasi un "tutorial", ma senza nulla da insegnare: per chi è già del "mestiere" tutto è nel solco della tradizione, senza segrete alchimie da svelare; per tutti gli altri rende, sintetizzate in pochi minuti, le articolate fasi di realizzazione che stanno dietro anche ad un libriccino come quello realizzato.》

Forse le iniziative analoghe a quella delle "Edizioni dell'Angelo" si possono interpretare come un tentativo di superate la condizione di anacoreti dell'incisione nel deserto della contemporaneità.
Se non ho male inteso, la finalità del video è puramente ludica, ovvero l'aspetto promozionale è fine a sé stesso, essendo l'edizione fuori commercio. Pertanto colgo il pretesto per esprime un dubbio circa i vantaggi che dall'inserimento in rete dovrebbero riverberarsi sull'incisione. Mi rendo conto quanto il dubbio possa apparire contraddittorio se espresso da chi vive solo un'esistenza puramente virtuale legata ad un blog.
Mi viene in mente la sibillina asserzione fatta pronunziare da Victor Hugo all’arcidiacono Claude Frollo nel quinto capitolo di “Notre-Dame de Paris”: "Ceci tuera cela". Ecco che sembra riattualizzarsi in questo nostro momento storico in cui la trasmissione della cultura passa attraverso un ulteriore cambiamento della forma di comunicazione prevalente.
Le nature, totalmente differenti, dei due linguaggi (tanto tattile quello dell'incisione quanto immateriale è quello di internet) mi fanno temere che dalla relazione possa derivarne un abbraccio letale.
Si è sempre più stretti (ormai quasi stritolati), da un lato dal compiacersi di un elitarismo da "Società segreta" come l'ha definita Francesco Parisi nella presentazione del "Catalogo Prandi 2014/15"; dall'altro (appellandosi all'originaria natura divulgativa dell'incisione) si fraintente il tentativo di ampliare il consenso con la rincorsa al maggior numero di "contatti" , di "mi piace" non importa quanto consapevoli. Se estremizzate nessuna delle due opposte tendenze pare convincere, da tempo s'impone la necessità di altri percorsi che si stenta molto a trovare o che, forse, nessuno cerca più.

domenica 12 ottobre 2014

ALMANACCO ITALIA NOSTRA 2015


Da sedici anni Italia Nostra si è fatta promotrice di una iniziativa volta a far conoscere gli artisti che si dedicano all'arte incisoria tramite un "Almanacco" che ogni anno ha raccolto due incisioni per sei artisti a corredo dei dodici mesi dell'anno. Dalla prima edizione del 1998 si sono succeduti artisti esordienti e noti, ma il maggior orgoglio, nell'ormai lungo percorso dell'almanacco, è che alcuni tra i giovani artisiti, che sono stati invitati a collaborare alla realizzazione dei primi numeri dell'Almanacco, oggi sono riconosciuti come affermati maestri.
Per il 2015 Italia Nostra ha ritenuto determinante promuovere una nuova edizione dell'Almanacco realizzato da artisti di fama contando sulla loro collaborazione per non lasciare decadere l'interesse per una tecnica artistica tradizionale che oggi appare sempre più penalizzata dall'utilizzo dei mezzi informatici.
Ricorrendo il 540° anniversario della nascita dell'artista rinascimentale Ludovico Ariosto, la Sezione di Italia Nostra di Reggio Emilia, condividendo e partecipando all'articolata attività promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia, ha deciso di dedicare l'Almacacco 2015 alla illustrazione delle opere di questo straordinario scrittore nell'intento di diffonderne la contemporaneità del suo operato.
I luoghi che ospiteranno l'allestimento delle dodici incisioni dell'Almanacco, oltre alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, saranno "luoghi rinascimentali" quali Palazzi e Rocche del territorio emiliano.
I maestri incisori invitati a partecipare sono:
André Beuchat
Stefano Grasselli
Raffaello Margheri
Toni Pecoraro
Vincenzo Piazza
Roberto Tonelli
La realizzazione editoriale dell'opera si deve alla Stamperia Mavida di Reggio Emilia che è anche studio bibliografico e casa editrice di ormai rare, preziosissime ed esclusive edizioni con incisioni originali. Mavida è forse l'unica realtà in Italia che ha mantenuto l'originaria finalità di "stamperia d'arte", non ha ceduto all'escamotage di trasfornarsi in associazione per compensare il calo delle commissioni, ma con coraggio, ostinato senso etico e facendosi carico di oneri ed onori, ha costituito, nei propri ampi e ben attrezzati spazi di lavoro, l'oasi protetta dell'incisione originale italiana, specializzandosi nella realizzazione di linoleumgrafie a colori anche di grande formato e dove è ancora possibile realizzare litografie su pietra oltre a tutte le tecniche calcografiche tradizionali e sperimentali.
Anche questa nuova edizione dell'Almanacco è stata composta con caratteri tipografici in piombo, stampata con torchi a mano su carta pregiata, confezionata con cura artigianale e tiratura limitata a ottanta esemplari numerati con cifre arabe, fuori commercio, destinata esclusivamente a Musei e Gallerie d'Arte Moderna e sei esemplari numerati con cifre romane riservati agli artisti.
In tutti questi anni la presentazione dell'Almanacco è stata affidata al dott. Marco Carminati, capo redattore dell'inserto culturale della domenica del Sole 24 Ore, con l'intervento "cosa leggere per capire le immagini: le fonti letterarie della nostra cultura figurativa" e da quest'anno anche al relatore Mauro Carrera che dedicherà una attenzione specifica alla tecnica incisoria ed agli artisti invitati con l'intervento "Gli incisori e l'irresistibile tenzone ariostesca".

La presentazione dell'Almanacco avverrà a Reggio Emilia, Sabato 25 Ottobre alle ore 11,00 presso la Fondazione Palazzo Magnani, Corso Garibaldi 31.

lunedì 22 settembre 2014

IL TEMPO NELL'ARTE *

Signore e Signori,

Vi è senza dubbio, in questa esposizione degli Indipendenti, dove ci troviamo, più di un'opera che durerà, che sarà eterna o quanto meno, secondo l'espressione consacrata, che «si farà beffe dell'insulto del tempo». Che resti tra noi, l'espressione consacrata non è eccellente, e non si vede come un quadro possa piegarsi dal ridere fino a far saltare la tela e rompere i lacci al fine di prolungare la propria durata. Comunque sia, far sì che la propria opera sia fuori dal tempo, credo che questa sia l'ambizione dell'artista, che si tratti di un pittore, di un letterato, di uno scultore, di un architetto o di un musicista. Ora, poiché per le sue creazioni l'arte non ha migliore attestazione di merito se non l'affrancarsi dal tempo, forse non è ozioso esaminare quale sia il rapporto che il tempo intrattiene con l'arte.
Tutte le arti attingono al tempo la materia che trattano. Come è noto, vi è una sola differenza tra le arti plastiche - pittura, scultura - e la letteratura, almeno secondo quanto insegnano i professori di filosofia. Si tratta del fatto che la letteratura ha l'obbligo di far sfilare in successione e uno per uno gli oggetti che descrive: se un romanziere intende parlare, ad esempio, di un uomo, dì una pecora e di un albero, non li presenterà simultaneamente a lettore, bensì uno dopo l'altro, ovvero quest'uomo, quest'albero e questa pecora. Per converso, in un quadro lo spettatore abbraccia con un colpo d'occhio un numero di oggetti simultanei tanto grande quanto al pittore piacque metterne insieme.
Pertanto il quadro o la statua colgono e fissano un momento della durata. Scelgono un movimento tra i movimenti, naturalmente il più plastico, lo immobilizzano e lo circondano di accessori che erano, nel corso del gesto, alla portata del gesto stesso, e lo completavano. La leggenda della moglie di Loth non è altro, secondo ogni evidenza, che l'invenzione della prima statua. L'Eterno ha operato, in quella circostanza, come un vero artista: ha scelto, per fissarla, la posa che avrebbe svelato l'emozione più intensa, dunque la più estetica: quella della donna divorata dalla curiosità, da un timido desiderio e dalla disobbedienza e dal terrore improvviso di fronte all'incendio di Gomorra. Allora l'Eterno ha detto: «Attenzione, non muovetevi!».
Se la statua di sale non si è conservata per arricchire i musei moderni, molte scene di epoche trascorse, più o meno altrettanto antiche quanto quest'avventura della moglie di Loth, hanno fornito temi all'estro dei pittori o dei romanzieri. La ricostruzione storica è sempre stata motivo di seduzione, come pretesto per delle opere d'arte. Il colore particolare o la forma bizzarra dei gioielli antichi affascinano il pittore, come le parole delle età scomparse sembrano allo scrittore tanto più sonore ed espressive quanto più risultano incomprensibili, perfino a lui. Egli interpreta che il loro senso si è scurito nella notte dei tempi.
Alla questione della ricostruzione o, come dicono alcuni, della verità storica, mi sembra che si possa rispondere con grande semplicità, basta ricordare un quadro noto e ammirevole, La strage degli Innocenti di Brueghel il Vecchio.

Brueghel il Vecchio, La Strage degli Innocenti, olio su tavola 109,2 x 154,9. Royal Collection, Hapton Court.
Di questo quadro, l'originale di trova a Vienna, ma se ne può ammirare una copia meticolosa di Brueghel il Giovane al museo di Bruxelles. La scena rappresentata si svolge, com'è noto, al tempo di Erode, all'incirca duemila anni or sono. L'artista non si è dato pena di cercare quali fossero le divise e i dettagli delle divise dei soldati di Erode duemila anni or sono. Ha semplicemente illustrato il fatto: una soldataglia che massacra dei bambini. Come sfondo, non ha cercato altro che le strade di una città fiamminga che conosce bene; con una sublime mancanza di vergogna, ha steso sulla sua tela un cielo brumoso del nord e un tappeto di neve. Mercenari, con la loro lama, infilzano al suolo freddo i marmocchi riversi. Madri e padri col capo chino supplicano il borgomastro, che incede a cavallo circondato da alabardieri. Certi militari che hanno lavorato abbastanza o vogliono ritemprarsi un po', bevono seduti su panche, davanti a una locanda. Il terrore considerevole di un marmocchio in fasce, brutalmente strappato alla madre, lascia tracce sulla neve. Queste tracce orrorose riescono gioiose allo spettatore, perché siamo al paese delle kermesse. Una donna ha trovato rifugio in una casa insieme ai suoi figli, e i soldati sfondano la porta con il calcio dei loro moschetti.
Moschetti o fucili al tempo di Erode, ebbene, non mi pare che vi siano inconvenienti particolari. Brueghel ha rappresentato lo sfondamento di una porta con il calcio di un fucile, perché ha ritenuto che il calcio di un fucile fosse lo strumento più adatto alla bisogna. I soldati di Erode non avevano fucili? Che importa, avrebbero dovuto averne. In un caso simile, poiché siamo di fronte al genio del pittore, è il pittore che ha ragione.
Allo stesso modo, gli antichi incisori su legno rappresentano cannoni all'assedio di Troia: forse che le loro opere guadagnerebbero di molto se vi avessero rappresentato della catapulte? I pittori gotici raffigurano, nelle loro crocifissioni, ai piedi della Croce, nelle sembianze delle Sante Donne o degli Apostoli, i committenti del quadro, loro contemporanei, e i notabili della città si compiacciono della rassomiglianza dei loro amici. Questo non ha forse lo stesso valore del tentativo di avventurarsi a ricostruire la fisionomia dei personaggi della leggenda sacra che non hanno mai visto?
Non v'è dubbio, per concludere in merito al quadro di Brueghel, che ogni pittore moderno, beninteso se il suo genio è pari a quello dell'antico maestro, potrebbe realizzare il medesimo orrore tragico supponendo una Strage degli Innocenti ai giorni nostri e ovunque gli piaccia, sulla Place de l'Opera, ad esempio. Qualche brigata centrale non sarebbe forse più malvagia, o meno malvagia, degli alabardieri del pittore fiammingo. Si obietterà che le uniformi degli antichi mercenari erano più ricche di colori e più pittoresche. Ma non vi è forse colore ovunque il pittore sappia vederlo?
Il massacro dei bambini si rinnova peraltro, a grandezza naturale, in tutte le guerre, come nella più recente. E uno degli sport preferiti del militare sistemare, come un bersaglio, i bambini sul seno della madre per poi staccarli a colpi di fucile. Il tiratore sarebbe naturalmente squalificato se colpisse la madre, il che prova che nell'esercito è sempre viva l'antica galanteria francese.
Osserviamo, dato che ci troviamo a parlare di gesta militari, come i romanzi storici di Sienkiewicz, il romanziere polacco, sono molto più interessanti del tanto celebrato Quo Vadis. Semplicemente, Sienkiewicz ha descritto nei romanzi eroici fatti che se non sono contemporanei almeno non necessitano sforzo alcuno di ricostruzione. Stanislas Podbipieta, il boia che si affligge per tre teste allineate e il signor Zagloba, il buon bevitore, sono dei polacchi piuttosto simpatici.
Un argomento in favore della ricostruzione storica, tuttavia, vale la pena di esaminarlo: si da il caso che un certo mobile, uno strumento o un'arma antica inducano un romanziere a modificare la descrizione, o un pittore la composizione, di tutta una scena. Rammentiamo l'immagine strana e molto bella che abbiamo trovato nelle rivelazioni mistiche di Catherine Emmerich; il testo dei Vangeli dice, credo, che la testa di San Giovanni Battista fu portata non su un vassoio, come si traduce di solito, bensì letteralmente: su un disco, in disco. Catherine Emmerich interpreta che la testa fu portata su una specie di cesoia circolare a forma di disco, strumento mostruoso, che era servito a tagliarla.
Ma osserveremo che è l'immaginazione di Catherine Emmerich ad aver suggerito l'idea di quell'arma fantastica. Bisogna passare in rivista un certo numero di utensili dei tempi antichi per scoprirne qualcuno che sia davvero diverso dai nostri. Gli indiani, i greci e i romani avevano, nessuno lo ignora al giorno d'oggi, cappelli, sandali, abiti e parapioggia, o almeno parasole, piuttosto simili a quelli del nostro XX secolo, e cos'altro faceva la Fortuna, sulla sua ruota, se non andare in monociclo?
E possibile, certo, che tuttavia oggi si attribuisca agli utensili di quelle genti, piuttosto simili ai nostri, un uso del tutto diverso. Ne abbiamo la prova ogni giorno - non certo a proposito di oggetti antichi, bensì di oggetti esotici - con la paccottiglia del Giappone. Vi sono tazzine giapponesi che ci sembrano fatte apposta per mettervi la cenere delle nostre sigarette. Nient'affatto. In Giappone si usano per bere il sakè, che è una specie di alcol, non molto forte peraltro.
Un'obiezione più seria sarebbe questa: vi sono civiltà, mode e oggetti scomparsi, come sono scomparsi gli animali preistorici. E importante che l'arte sia documentata se vuole riprodurre gli ambienti perduti. Nella civiltà contemporanea, un cittadino di Parigi non ritroverà le emozioni del suo avo delle caverne, in lotta con il grande orso, il mammut o il rinoceronte dell'età della pietra. Ma queste emozioni, non le hanno forse provate tutti aspettando al varco, ad esempio, imboscati, nei pressi di una capanna all'uopo prevista come per la caccia in palude, il passaggio di un omnibus? Quale disperazione non ci ha colmato quando il cornac dell'omnibus ha fatto proseguire quel grosso animale tirandolo per la coda, che in effetti è molto simile a quella di un elefante? L'animale emette un grido discordante, da ogni punto di vista simile a quello dell'anatra o dell'ornitorinco, e fugge mostrando la sua scontentezza con un raggrinzamento della sua pelle posteriore, blu come quella di certe scimmie e fosforescente di notte, cosparsa di striature bianche che rappresentano perfettamente la grafia della parola: completo.
Insomma, l'opera d'arte fa perfettamente a meno della nozione di tempo: la preoccupazione di ricostruire un'epoca non ha altro effetto se non quello di ritardare il momento in cui essa si affrancherà dal tempo, cioè sarà eterna nella gloria. Se si vuole che l'opera d'arte divenga eterna un giorno, non è forse più semplice, liberandola dai lacci del tempo, renderla eterna già adesso?

Alfred Jarry

Le Temps dans l'art
conferenza tenuta a Parigi l'8 Aprile 1902 presso la Societé des artistes indépendants, e pubblicata per la prima volta nei «Dossier du Collége de pataphysique» n° 3, 1958, pp. 5-20.

giovedì 4 settembre 2014

GUIDA PER BIBLIOFILI AFFAMATI

Basta la nostra pagina EDIZIONI
per capire quanto la tematica ci sia cara, ma c'è chi è riuscito a fare di meglio: Barbara Sghiavetta e Maria Gioia Tavoni sono le autrici della "gustosissima" GUIDA PER BIBLIOFILI AFFAMATI. Un viaggio nella microeditoria italiana ad alto tasso di creatività (e spesso audacia), alla ricerca delle testimonianze eccezionali di editori che, fuori dai grandi circuiti, sanno dar vita a libri belli e assolutamente desiderabili. Corredato da immagini che testimoniano la perizia e l'originalità di questi artigiani del libro, il volume ne racconta l'operato attraverso agili schede divise in sezioni geografiche e arricchite da informazioni turistiche e gastronomiche sui luoghi in cui i loro laboratori, veri e propri presidi dell'antico mestiere, hanno sede. Il risultato per i lettori è un itinerario avventuroso, alla ricerca di libri unici e spesso introvabili, pronti per essere concupiti.
Una guida imperdibile per gli addetti ai lavori, per bibliofili anche sazi, per gli appassionati di libri e di incisioni, per semplici curiosi con l'innato gusto per l'eleganza.
Il libro, disponibile presso l'Editore PENDRAGON dal 10 Settembre e ordinabile in tutte le librerie, verrà presentato il 19 Settembre alle ore 18,00 all'Artelibro di Bologna, Palazzo Re Enzo, Sala del Quadrante.

LE AUTRICI
Barbara Sghiavetta
Vive a Bologna, dove fa la libraia. Ha pubblicato saggi sull'editoria in volumi collettanei e sulla rivista «Teca»; è autrice del libro Editoria a testa alta. Le quarte di copertina de "Gli Struzzi" (Pàtron, 2008). Per Pendragon ha pubblicato, insieme a Maria Gioia Tavoni il volume Guida per bibliofili affamati (2014).

Maria Gioia Tavoni
Docente di Archivistica, Bibliografia e Biblioteconomia all'Alma Mater di Bologna, oltre a numerosi saggi, ha al suo attivo alcune monografie nel settore della storia del libro, fra le quali Dal banco del libraio allo scaffale del giurista (1993) e Precarietà e fortuna nei mestieri del libro in Italia (2001). I suoi ultimi volumi sono Circumnavigare il testo (Liguori, 2009); Pascoli e gli editori (con Paolo Tinti, Pàtron, 2012), Premio Firenze 2012 per il migliore libro di saggistica uscito negli ultimi tre anni e I mestieri del libro nella Bologna del Settecento (con Alberto Beltramo, Forni, 2013). Insieme a Barbara Sghiavetta per Pendragon ha pubblicato Guida per bibliofili affamati (2014).

giovedì 21 agosto 2014

CORRISPONDENZA

E. Aulmann
illustrazione per  "Glosse, Grafemi e altri insetti"
acquaforte 2002, 110 x 110
Un lettore ha voluto condividere col blog una sua considerazione, non chiedeva consigli né risposte ché forse neanche una seduta psicoanalitica potrebbe dare.
Ci ha colpito la sincerità delle parole e ci siamo fatti autorizzare a pubblicarne la
e-mail. Non sappiamo quanto la riflessione in sé possa considerarsi esemplare di un modo di intendere l'arte, ma riteniamo che la testimonianza vada oltre le intime considerazioni esistenziali e possa indurre un momento introspettivo.






Il senso di disorientamento che mi accompagna ormai da diversi anni è straripato leggendo i commenti al post "Ma dov'è questa crisi...": le osservazioni sul mercato dell'arte e sui prezzi; lo snobismo verso l'incisione da parte di qualcuno e l'orgogliosa difesa da parte di altri... Anch'io avrei voluto inserire questa mia considerazione come commento, ma è risultata troppo lunga e adesso mi sembra anche inappropriata, così ve la invio come una riflessione personale.
Da sempre mi esprimo con i tradizionalissimi mezzi della pittura, del disegno e dell'incisione perché non saprei fare altro, ho rinunciato al tentativo di discriminare cosa è arte e cosa no, semplicemente, per quanto mi riguarda, l'arte concettuale, le installazioni e le performance non mi sono congeniali, pertanto sono sempre stato rassegnato a rimanere fuori da un certo giro della cosidetta "arte contemporanea".
I miei rapporti con il mercato sono stati mediati da un amico gallerista che proponeva i miei lavori, procurava le commissioni per qualche tiratura e ha organizzato anche qualche mia mostra personale; per il resto la partecipazione a qualche collettiva, ai concorsi di incisione... tanto mi bastava, non ho cercato di stabilire altri contatti commerciali anche perché non sforno lavori a ciclo continuo.
Quando l'amico gallerista è venuto prematuramente a mancare il mercato dei miei lavori si è azzerato e questo accadeva poco prima della congiuntura economica alla quale si attribuiscono tutti i problemi attuali.
Inizialmente ho provato a contattare qualche galleria, l'idea di fare adesso quel che non sono stato capace di fare da giovane andando in giro col "book" per far visionare i miei lavori non mi sembrava credibile alla mia età, le gallerie cosiddette di tendenza non sono interessate ai miei soggeti, così pare che restino le gallerie che solo a pagamento sono disposte ad esporre e tenere lavori in conto vendita. Forse non è ovvio dire che non ne ho fatto niente, così come non ne ho fatto niente del suggerimento di entrare a far parte di una associazione perché non sono per nulla convinto che la visibilità che le associazioni sembrano consentire sia di una qualche utilità.
Mi capita ancora di vendere, in proprio, qualche lavoro, ma è un compito che mi procura più fastidio che guadagno: in questo ruolo o sei un abile venditore o sei uno stupido e io ho passato la vita a dimostrare che sono un inguaribile stupido.
Per me tutto gira intorno alla mia opera, buona o scadente che sia perchè non escludo la possibilità che tutto dipenda dal fatto che la qualità artistica dei miei lavori non sia adeguata, non ho mai smesso di chiedermelo, anche se non sono mai riuscito a darmi una risposta rassicurante, e non ho mai smesso di lavorare perché quando dipingo o disegno o incido mi sento in una condizione di benessere: i problemi quotidiani per un po' si allontanano, dimentico i malesseri esistenziali, è una sorta di oblio di sé anche quando il soggetto mi porta a scrutare i miei lati oscuri, tutto il resto della vita ha per me un interesse secondario.
Probabilmente dovrei ritenermi soddisfatto di questo effetto terapeutico dell'arte, considerare che, già di per sé, la possibilità di fare arte è una mirabile ricompensa, ma per che cosa?
Sento che qualcosa non va e non so dire da cosa propriamente dipenda quel vago senso di cronica insoddisfazione e inadeguatezza che mi accompagna.
Cordiali Saluti
X. Y.

venerdì 8 agosto 2014

SMENS – LA XILOGRAFIA IN RIVISTA


xilografia di Gianfranco Schialvino



Dopo le sedi della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze nel 2010, la Sala Mostre della Regione Piemonte di Torino e la Biblioteca Braidense di Milano ambedue nel 2013, la Biblioteca Classense di Ravenna nel 2014, la mostra degli undici numeri pubblicati della rivista SMENS, curati e realizzati da Gianfranco Schialvino e Gianni Verna, s’inaugura oggi presso la Biblioteca Marciana di Venezia e si potrà visitare fino al sette di Settembre.
In attesa del nuovo numero che segnerà la ripresa della pubblicazione di SMENS, riproponiamo, intervallati dalle riproduzioni delle copertine, i testi di presentazione che accompagnano il catalogo della mostra veneziana e il contributo di Nicola Miceli nel catalogo della mostra alla Classense.



SMENS? Non è un acronimo, ma una parola che corteggia la “S”. La corteggia per amore della linea curva, sensuale nel significato di dar senso alla vita, e perché ricorda il lavoro di sgorbia sopra le tavolette di bosso e di pero. Forse è anche un verbo con il solo tempo presente, che accetta tutte le persone (io smens, tu smens… noi, voi, loro smens). Chi Smens, quindi? Due piemontesi, Gianfranco Schialvino e Gianni Verna, radicali e siderei, capaci di fare una rivista semestrale di pagine e figure, dove il ruolo di illustrazione possa essere mutualmente scambiato tra testo e xilografia.
Bruno Quaranta su TuttoLibri de La Stampa

xilografia di Gianni Verna
xilografia di Gianfranco Schialvino





















La Biblioteca Nazionale Marciana è tradizionalmente attenta alle edizioni d’arte, e al libro d’artista ha dedicato alcune mostre importanti. SMENS si pone in questo solco, ma con la peculiarità e, direi, l’eccezionalità di essere un libro d’arte “seriale’’, anche nell’accezione che diamo al termine noi biblioteconomi, con una storia che si è dipanata per 11 numeri e 7 anni, fra il 1997 e il 2004.
Grazie all’impegno e alla passione dei suoi curatori, due artisti, Gianni Verna e Gianfranco Schialvino, oggi possiamo tenere fra le mani e sfogliare dei documenti preziosi dal punto vista artistico per la qualità e la bellezza delle incisioni, realizzate con una tecnologia artigianale e raffinatissima, la xilografia. Tali incisioni illustrano testi di grandi autori contemporanei, che il lettore scoprirà con meraviglia, e sono stati stampati con il torchio a braccia, utilizzando caratteri in piombo composti a mano. Il risultato sono volumi di grandissimo pregio anche dal punto di vista della loro consistenza materiale, un aspetto trascurato dalla moderna editoria, chiamata, forse non solo per necessità, ad uniformarsi ai dettami del mercato.

xilografia di Gianni Verna
 Nel vestibolo della Libreria Sansoviniana, il luogo in cui la mostra verrà inaugurata, sono conservati alcuni testimoni straordinari di quest’arte, i legni originali del Mappamondo turco-veneziano in forma di cuore cosiddetto di Caggi Acmet, o Hajji Ahmed, datati al 1559, e utilizzati ancora nel 1795 dal Pinelli, tipografo veneziano, che ne tirò ventiquattro preziosi esemplari.
Per noi bibliotecari di biblioteche storiche, che hanno al centro della propria missione istituzionale non solo la conservazione fisica degli oggetti in cui si è sedimentata la nostra eredità culturale, ma anche la valorizzazione dei saperi e delle abilità che li hanno creati, e la produzione, a partire da quelli, di nuova conoscenza, l’esperienza artistica e culturale di SMENS è di grande conforto, ed è con grande piacere che ci apprestiamo a presentarla al pubblico, ampio ed eterogeneo, che visita le nostre sale museali.

Maurizio Messina
Direttore della Biblioteca Nazionale Marciana



xilografia di Gianfranco Schialvino
È facile raccontare adesso l’avventura di una rivista unica nel suo genere per due motivi: la scelta di riproporre in tutte le sue peculiarità l’arte della stampa a rilievo e la volontà di ribellarsi all’abbandono progressivo e ormai totale dell’uso di questa tecnica in tutto il mondo, determinato dalla rapidità della diffusione del computer e dalla velocità della divulgazione delle sue informazioni e dei documenti con esso realizzati.
Smens è stata un’idea a suo tempo bizzarra; vincente però proprio per questa sua caratteristica di essere apparentemente assurda. All’inizio i protagonisti sono stati gli autori dei testi, tanto sorpresi per essere invitati a partecipare a questo viaggio verso l’ignoto quanto pronti a inviarci i loro elaborati sui temi proposti. Ogni numero si basa infatti sulla contrapposizione fra due tesi: bene e male, bianco e nero, sacro e profano, verità e menzogna e così via, che sono anche due valori, e questo poter esprimere liberamente un proprio concetto, un pilastro di saggezza, ha riunito insieme i pensieri e le culture più disparate in una raccolta che ha assunto il valore di una suite, dove le pagine scorrono da una visione laica a una cattolica, o ebraica, o di partito, addirittura di setta, magari agnostica.

xilografia di Gianni Verna
Le incisioni, tutte rigorosamente xilografiche, le abbiamo fatte dapprima Gianni Verna e io che scrivo - insieme da vent’anni nel nostro “cenacolo a due”, così definiva la nostra associazione Nuova Xilografia il critico Angelo Dragone -, e successivamente i più prestigiosi e abili xilografi, di tutto il mondo, a partire dal decano Remo Wolf fino a Jean Marcel Bertrand dalla Francia, Evgenij Bortnikov dagli Urali, con il fiammingo Gerard Gaudaen, lo scomparso Leonard Baskin e il suo successore come più famoso incisore americano Barry Moser, Suzanne Reid dal Canada, Penelope Jencks, Osvaldo Jalil dall’Argentina, per tornare in Italia a Salvo, Francesco Franco, Togo, Nespolo, Costantini, Giulia Napoleone, Marina Bindella, Marcello Guasti, Tabusso, Soffiantino, Luzzati e tanti altri.
Tutti riuniti ad esprimersi con bulini e ciappole su un pezzo di legno per realizzare una xilografia a commento dei testi ora di Federico Zeri e ora di Elémire Zolla, o Ceronetti, Sgarbi, Ravasi, Orengo, Luzi, Roberto Sanesi, Lorenzo Mondo, e ancora Norman Mailer, Alan Dugan, Philippe Jaccottet, Adriana Zarri, Elena Loewenthal ecc.
E ognuno con pezzi originali, gli scritti come le tavole incise.
xilografia di Gianfranco Schialvino

Tutto qui, con molto lavoro e molta fortuna, per un insperato e prezioso risultato: l’aver riunito intorno alle pagine di Smens un grande numero di artisti, quasi un centinaio, e di averli fatti cimentare con il linguaggio della xilografia, arte meravigliosa e antica, semplice e attuale, classica e rivoluzionaria. E facile: bastano un coltello, un pezzo di legno, un po’ di inchiostro e carta. Insieme alla volontà di essere artisti, di parlare liberamente di poesia, mirare al bello, cercare un ideale da realizzare, e vivere con la consapevolezza di poterlo raggiungere: e in fondo è meglio se agli altri, quelli “normali”, tutto questo sembrò impossibile, perché adesso appare davvero speciale.
Nel primo numero, datato Torino 1997 e battezzato al Musée d’Art moderne et d’Art contemporain di Liegi, volava fuori da una doppia pagina l’uccello araldico di questa impresa: la gazza ladra. Monogama, ciarliera, seriamente curiosa, bianca e nera con un’insondabile pennellata di blu, elettrico come un fondo marino, una parete di ghiaccio. Si racconta - è vero - che il suo richiamo annuncia sempre una visita, un giro di carte e di destino.

Gianfranco Schialvino



xilografia di Gianni Verna
XILOGRAFIA, CHE PASSIONE!

È davvero finita l’epoca della xilografia? Non c’è possibilità di recuperare alla produzione attuale di immagini per la comunicazione visiva questa modalità di rappresentazione strettamente legata alla civiltà tipografica e all’illustrazione libraria? Tanta storia della grafica occidentale, non solo funzionale al visibile parlare e alla decorazione, si deve alla più antica tecnica di moltiplicazione delle immagini. L’incisione su legno di filo o di testa, e per estensione su matrici di altro materiale idoneo a lasciarsi sgorbiare o bulinare o altrimenti scavare e segnare, dal linoleum all’attuale plexiglass, ha saputo adattarsi, nei secoli, alle esigenze più varie e servire il più ampio ventaglio dei registri linguistici ed espressivi. In egual misura conveniente, la xilografia, alle semplificazioni figurali dell’immaginario popolare e alle più sofisticate finezze del gusto artistico. Dürer e le stampe di Épinal, Doré e Die Brücke, la variegata generazione simbolista e liberty de L’Eroica e Maccari e Il Selvaggio: un mondo molteplice e di lunga durata ha saputo affidare a una tavoletta di legno, da far gemere sotto il torchio, personaggi situazioni eventi figure visioni fantasticherie umori devozioni. Le storie e la Storia, insomma, l’arte e l’illustrazione. 
xilografia di Gianfranco Schialvino
Nel nostro tempo digitale, quando gli incorporei programmi di graphic design consentono le più spericolate e mirabolanti contaminazioni e manipolazioni visive, certo sono improponibili la materialità, la concretezza, la “presa diretta” della mano sulla matrice xilografia e di questa sulla carta. Ma ciò non significa che la xilografia, ormai irrimediabilmente desueta come genere illustrativo, sia incapace di continuare a rinnovarsi sotto le mani e al servizio dell’immaginario degli artisti, e che gli artisti non abbiano continuato a praticarla con grande ricchezza di soluzioni tecniche e formali.
Ne sono sempre stati convinti gli incisori piemontesi Gianfranco Schialvino e Gianni Verna, i quali fondavano anni fa il programmatico laboratorio di ricerca e documentazione Nuova Xilografia e tra l’agosto 1997 e l’agosto 2004 ideavano e stampavano in tipografia a tiratura limitatissima – caratteri a piombo, impaginato manuale, matrici xilografiche rigorosamente originali e inedite – undici fascicoli di Smens, ognuno impostato su un tema oppositivo (Bianco e nero, Verità e menzogna, per dire i primi due) con brevi testi che vorrei dire stravaganti di eminenti autori e immagini esclusivamente xilografiche, sceltissime e di grande fluenza e bellezza grafica.
Si pensa d’acchito a Cozzani e a L’Eroica, e Smens appare una sorta di omaggio a quella rivista d’arte e cultura di ascendenza mitteleuropea, che in effetti qualificò un’intera stagione fortunata per la xilografia italiana. Se fosse nata nell’ottica della riproposizione attuale di quel mito editoriale, Smens sarebbe stata impresa indubbiamente velleitaria e anacronistica. Ma in effetti Schialvino e Verna, incisori xilografi fecondi e innovativi, con Smens non hanno inteso realizzare una rivista d’arte e cultura in grado di determinare un qualche effetto-scia, illudendosi di rilanciare a tutto tondo le sorti della xilografia italiana. Essi hanno bensì creato un modello di sapiente arte tipografica e illustrativa, ma sotto specie di undici veri e propri libri d’artista. Nel senso che hanno montato i blocchi mai ripetivi dei testi in bei caratteri a piombo e le immagini xilografiche – le proprie e quelle di una vera e propria galleria di autori rilevanti dal Secondo Novecento all’avvio del nuovo secolo – componendo pagine e doppie pagine ognuna delle quali è un’opera grafica in sé formalmente autonoma, ma che si completa e si sviluppa in un vero e proprio testo verbo-visivo, via via che lo sguardo scorre nella successiva.
xilografia di Gianni Verna
Schialvino e Verna hanno lavorato con passione, sensibilità e rigore, sempre mirando all’eleganza delle soluzioni e invenzioni grafiche, nelle quali i bianchi della carta, come dire la forma dei vuoti come nella scultura moderna o dello spazio esterno che avvolge e penetra gli edifici nell’architettura, hanno funzione paritetica ai segni, ai colori e agli elementi figurati della partitura. Un’impresa d’eccellenza, dunque, che ha dimostrato come la xilografia degli artisti è ancora oggi una pratica non marginale né stereotipa, anzi capace di attingere valori creativi di alta qualità formale ed espressiva.
Peccato che le solite difficoltà pratiche abbiano costretto Schialvino e Verna a chiudere Smens nel 2004. Le undici stazioni del loro itinerario di passione, sensibilità e rigore nel mondo appartato quanto vivido della xilografia hanno continuato a suscitare interesse e attenzioni. Non a caso lo scorso anno sono state oggetto di ben due mostre e correlati incontri di dibattito e divulgazione: La xilografia in rivista alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano e Nigro signanda lapillo. La rivista tipografica SMENS e le xilografie di Gianfranco Schialvino e Gianni Verna alla Biblioteca Civica G. Tartarotti di Rovereto.
Ecco oggi l’approdo a Ravenna, alla biblioteca Classense. Una nuova occasione, in un ambiente di assoluta valenza storica e culturale, all’ombra degli esempi preziosi che testimoniano la nascita e lo sviluppo della xilografia in Italia, per riaprire il discorso interrotto. E dove il duo xilografico piemontese annuncerà la ripresa di Smens con un numero su un tema ad hoc: Typographia
Nicola Miceli
 
xilografia di Fortunato Depero

ALCUNE FOTO DELL'ALLESTIMENTO ALLA BIBLIOTECA MARCIANA