martedì 2 febbraio 2016

CATALOGHI E NOTORIETÀ

A conclusione del fascicolo numero 12, autunno 2015, della rivista "InPressioni - colloquia graphica et exlibristica", pubblicata dall'Associazione C.F.P. "Eugenio Fassicomo" - Scuola Grafica Genovese, un ricordo appassionato di Franco Sciardelli firmato da Gian Carlo Torre è preceduto dall'ultimo scritto di Sciardelli su una lettera di Ansemo Bucci indirizzata a Carlo Petrucci allora direttore della Calcografia Nazionale di Roma.
Assolto al doveroso obbligo di citarne la fonte riproponiamo il breve testo di Franco Sciardelli, ricchissimo di spunti di riflessione, che non necessita di ulteriori considerazioni o precisazioni.

CARO PETRUCCI… TUO BUCCI

Nel dicembre del 1950 Anselmo Bucci aveva sessantaquattro anni e una fama di artista internazionalmente riconosciuta. Fu in quell'anno che la Calcografia Nazionale gli rivolse l'invito a presentare nella propria prestigiosa sede una mostra delle sue celebri incisioni.
A questo più che tardivo invito Bucci, con penna intima nell'acido, rispose scrivendo sui margini di un esemplare di "Taxi all’etoile", una puntasecca del 1914.

Originale presso la Collezione Mario De Filippis, Arezzo.
©ourtesy, "InPressioni", n°12 / 2015, pag. 28.

«Mio caro Petrucci, finalmente, finalmente mi hai fatto un vera benefizio, un piacerone, un invito che attendevo da unni, per non dire decenni. Si, se n’era forse parlato, così, vagamente. Ma tu me l'hai scritto, scritto sulla carta! Sono abituato a non sperare più in nulla; e a credere pochissimo o quasi nulla. Un invito a Roma! Pensa: Sono a Londra al British Museum, a Parigi al Louvre, al Camavalet, e al Jeu de Pomme - a Bruxelles, a Atene, a Tokyo, a Firenze, a Milano, a Torino, a Genova, a La Spezia a Trento, a Livorno e adesso ultimamente a Madrid e New York. E mancava (per le stampe) niente di meno Roma!
Casa vuoi che ti dica: questo mi affliggeva in segreto, ma perché chiedere, sollecitare? Diceva il nostro Giacomo: "A questi patti, non voglio gloria!" Ebbene si, ti ringrazio, verrò a Roma, per santificarmi e verrò a Roma con il mio rotolo di scartoffie. Tu me ne chiedi 60 o 70 bene stampate; ma io ne ho 600 o 700 ben stampate, anche in carta di Cina sottili come il velo di una sposa, anche in "Giappone" che stanno in piedi da sé. Vuoi che ci limitiamo al solo "Paris qui bouge" cinquanta acqueforti, cioè no, punte secche? Conosci ed hai la piccola pubblicazione di Hoepli, con testo di Orio Vergani? Se no, te lo mando. Ciao, Rispondi, tuo Bucci».

Era il giugno 1950, la mostra fu allestita quattro anni dopo: uno prima della morte dell'artista. l'esile cataloghino pubblicalo per l'occasione è a tutt’oggi il più esauriente repertorio della sua opera incisa. È stato autorevolmente scritto che "quando di un incisore si redige un catalogo - un vero catalogo e non una pubblicazione per fini meramente promozionali - significa che ha raggiunto uno spessore degno di considerazione nell'ambito della storia dell'incisione".
Questo "spessore" non l'avrebbero raggiunto maestri quali appunto Anselmo Bucci, Luigi Bartolini, e tanti altri sempre ammirati e ricercati da amatori e collezionisti. Di essi manca un vero catalogo ma ciò non sminuisce il loro valore.
Per quanto preziosi, non sono i cataloghi che certificano lo spessore di un artista, bensì le opere. Il resto può non arrivare o arrivare tardi, come la mostra di Bucci alla Calcografia nazionale. Certe carenze testimoniano semmai la pochezza di tanti studiosi e redattori.
Si narra che Bucci a guerra finita abbia voluto contribuire alla copertura in rame dell'antica chiesetta prossima al suo studio in Monza donando alcune sue lastre incise. A rendere più suggestivo l'aneddoto vi è che la chiesetta sarebbe quella all'ombra della quale, dice il Manzoni, «La sventurata rispose». Non è che un si dice. Fantasia. Speriamo non resti tale anche l'auspicio di un "vero" catalogo delle incisioni di Anselmo Bucci.