giovedì 14 luglio 2016

XY SECONDA PARTE: GRANDE ARTISTA / VERO ARTISTA

Un artista è un artista qualunque sia il mezzo espressivo adottato.
Così dovrebbe essere, ma così non è, forse perché sono artisti anche il clown del circo, il musicista, l'attore e il suo truccatore (make-up artist) ecc… ciascuno tende a distinguersi specificando, nel campo delle arti figurative, se è video-artista, artista performativo, street-artist… oltre ai tradizionalissimi, e ormai superati, pittore, scultore… quindi se c'è bisogno di precisare che l'artista in questione è un incisore s'intende già che è fuori da ogni logica del sistema dell'arte contemporanea dove, per inciso, il clown del circo come artista, rispetto a un incisore, riscuote più credito.
Ritengo superfluo chiarire la differenza tra "fare" l'artista ed "essere" artista", qui provo ad affrontare l‘aspetto dell'essere e l'idea di artista che si può dedurre da un manuale scolastico di Storia dell'Arte o dal catalogo di una mostra o visitando un museo… è quella del genio creatore di capolavori assoluti.
Questa stessa idea trasposta ai nostri giorni, nel cosiddetto "sistema dell'arte contemporanea", ha il suo equivalente nell'"ArtiStar", cioè l'artista affermato, di successo, ben noto, con un stuolo di collaboratori che realizzano le sue opere e che fa soldi a palate.
Chiunque non sia arrivato al successo è considerato un artista fallito, ovvero non è un artista.
Questa è una concezione che potremmo definire "esclusiva" alla quale si potrebbe affiancare, se non contrapporre, una concezione "inclusiva" cioè un'idea molto più larga di arte e di artista.
Non è questione da poco definire se le arti sono solo quelle canoniche della tradizione e dell'innovazione o non abbiano pari legittimità anche le cosiddette arti minori e anche arti stravaganti mai sentite fino al punto di comprendere qualunque attività.
Il problema che si poneva nel post precedente e al quale provo a dare una mia risposta è se si può essere considerati artisti (veri artisti) anche senza aver raggiunto il successo.
Quando dico "essere considerati" intendo un riconoscimento sociale o pubblico, perché nel proprio privato ciascuno può ritenersi superiore a Picasso, l'esempio non è casuale perché misurarsi, per esempio, con Michelangelo qualche dubbio lo pone anche al più presuntuoso degli hobbysti.
Quando una inclinazione viene perseguita fino all'estremo possiamo definirla, anche in senso psicopatologico, una mania e pertanto, in questo strampalato tentativo di ri-definizione possiamo considerare l'arte come una mania e l'artista come un maniaco.
La mania del vero artista non è semplicemente una mania occasionale come per i "sani" dilettanti.
Dilettanti sono tutti coloro che esercitano l'arte in momenti di intervallo della loro vita quotidiana. Il fatto che alcuni possano continuamente, sul luogo di lavoro, in famiglia, quando fanno la spesa… rompere i coglioni al prossimo vantando l'ultimo lavoro realizzato o la mostra in programma… non li riscatta.
Al vero artista, che sia un vero maniaco, interessa solo l'esercizio della sua arte, gli importa "essere" all'opera e non l'opera che invece è l'interesse prioritario di chi "fa" l'artista. L'opera, per l'artista che "È" artista, se mai si realizza è solo un sottoprodotto della sua mania, una secrezione, anzi non è necessario che vi sia un "prodotto" che possa essere visto e ammirato, che contabilizzi i “Mi Piace” su Facebook, perché l'artista può esercitare in segreto, può "essere" ignoto e invisibile, indifferente all'avere un pubblico.
Lo spettacolo pubblico (s'intenda la mostra personale, la partecipazione alle Biennali e/o il post su FacebooK) è un aspetto aggiuntivo al puro esercizio dell'arte; è, caso mai, compito del gallerista o del mercante che ne fanno un'attività redditizia, ma dal punto di vista dell'artista il riconoscimento del pubblico e della critica è un fatto esterno. L'artista, il vero artista, e non importa in quale campo, è tutto rivolto a sé stesso. La sua arte non si esercita in un momento di intervallo della sua vita perché non c'è soluzione di continuità tra arte e vita, perché non c'è un'altra vita, né famiglia, amicizie, divertimenti… non c'è un riposo dall'arte perché non c'è fatica, né prestazione d'opera rispetto ad un committente o gallerista o mercante o spettatore. L'arte aderisce all'artista come il canto e il volo agli uccelli o il nuoto ai pesci… che sono tutte manifestazione della loro piena vitalità e non un'esposizione di abilità "artistiche".
Il comportamento istintivo di una specie animale è l'ideale di una vita d'artista, tutto quello che ogni vero artista vorrebbe essere ed è.
Attenzione voi che vi siete, più o meno, riconosciti in questo profilo, abbiamo definito il supremo ideale di perfezione dell'artista che essendo uomo nutre l'eterna insoddisfazione di non essere animale e forse non riuscirà mai ad esserlo (Bestie sì, purtroppo esistono anche tra gli uomini). Da questa osservazione e considerazione di sé stessi nasce la consapevolezza dei propri limiti e la sensazione di non essere capiti che non toccherà mai un animale che invece non si preoccupa certo di poter o voler appartenere ad un altra specie.

venerdì 1 luglio 2016

XY: UNO STRANO CASO, ANZI BANALE*

* In questo post ogni riferimento a persone realmente esistenti
o a fatti realmente accaduti è del tutto voluto.

XY è uno di quei casi di precoce vocazione artistica scoraggiata dai genitori, ma che ha continuato a covare repressa fin quando, per una consapevole presa di coscienza, invece di passare la vita con il rimpianto e maledicendo chi l'aveva generato, ha deciso di realizzarla.
Gli anni in cui la vocazione era stata accantonata non sono trascorsi senza conseguenze, infatti è mancata a XY quella formazione che si costruisce più solida proprio negli anni dell'adolescenza.
Da quando XY ha compiuto la propria scelta artistica ha sempre lavorato con dedizione e costanza, proponendo i propri lavori allorquando se ne presentava l'occasione, ma senza mai cercare di stabilire conoscenze al solo scopo di trarne vantaggi per la "carriera" artistica.
La ritrosia è anche da attribuire alla sua riservatezza in quanto manifestazione esteriore di una timidezza e di un senso di inadeguatezza esasperati.
Le volte che è venuto in contatto con le persone di una certa rilevanza e che potevano fare la differenza non ha mai chiesto alcun appoggio o interessamento non sopportando l'imbarazzo di poter disturbare, ché già - dice - si reca disturbo venendo al mondo: un atteggiamento che più di discrezione mi sembra di diserzione.
Così chiunque lo abbia conosciuto ha finito per apprezzarne, se non l'arte, l'umiltà, la serietà, e la disponibilità non suggerita da secondi fini, tutte qualità umane che, nel sistema dell'arte, caratterizzano un perdente, infatti, alla lunga, nel suo rifiuto a "darsi da fare" per imporsi è stato superato nella notorietà e nelle quotazioni, da altri che non hanno esitato a sollecitare l'appoggio proprio delle stesse persone.
Nel tempo, invece di consolidare e accrescere la sua rete di relazioni con la critica e il mercato dell'arte, si è sempre più chiuso in sé stesso, addirittura allentando o chiudendo anche contatti già stabiliti e consumandosi nella sua eterna insoddisfazione.
Sono propenso a credere che XY sia consapevole dei propri limiti, probabilmente è attraversato da un anelito che mira a qualcosa di impossibile per le sue capacità artistiche.
La sua tecnica è accurata, ma non è un virtuoso; le sue tematiche non sono del tutto coerenti; la sua creatività manca di originalità e i suoi soggetti ricordano, a volte, quelli di qualcun altro che li realizza anche meglio.
Questo è il mio personale giudizio su XY e le considerazioni fin qui svolte sono, volutamente, viziate dalla concezione, tipica dell'arte contemporanea, che considera il percorso artistico come una sorta di gara ad ostacoli, da qui termini come "arrivare", "affermarsi", "perdere", "superare"… che di uso comune hanno punteggiato anche la mia ricostruzione.
Ritengo che anche XY all'inizio si sia "iscritto" a questa "gara", ma ad un certo punto sembra aver mollato, non so dire se la decisione sia stata scelta o subita o se sia ancora un'altra conseguenza caratteriale.
Con tutti questi presupposti si è capito che il nostro XY, secondo il giudizio comune, è un artista di "Serie B" (tanto per rimanere nella similitudine agonistica): non è certo un innovatore del linguaggio e dei temi, si potrebbe definire un artista di corrente, la sua opera si inserisce dignitosamente in un filone che ha ben altri esponenti di rilievo.
Il severo giudizio critico è confermato dal fatto che XY non ha mai ricevuto alcun premio in una qualche biennale, ma è contraddetto da una serie di inaspettati riscontri che ne configurano l'anomalia annunciata nel titolo.
Lasciamo da parte mostre e pubblicazioni, ché chiunque può farne sfoggio, e si potrebbero elencare dei fatti incontrovertibili, tuttavia poiché lo stesso XY non ne ha mai fatto vanto, eviterò di elencarli puntualmente e dico solo che XY è ben noto, benché non altrettanto stimato, nel campo dell'incisione italiana pur non avendo mai né sbraitato né sollecitato, con petulanza, attenzione.
Le sue opere incontrano un certo successo commerciale anche in quel famoso catalogo di vendita, inoltre a giudizio di colui che probabilmente passerà alla storia come il più grande (per quantità) editore italiano di incisioni di tutti i tempi, che lo ha sempre difeso e promosso efficacemente, è uno dei pochissimi incisori capaci di lavorare su commissione: assegnategli un tema e il lavoro svolto sarà dignitosissimo, anche se non avrà le stimmate del capolavoro; questo gli ha consentito di essere probabilmente tra gli ultimi che hanno guadagnato qualche soldino incidendo acqueforti.
Quelli premiati a tutti i concorsi, molto più quotati (da sé stessi), che però non vendono un foglio, obietteranno che si tratta di soggetti "facili", mentre loro non fanno incisione commerciale.
Diffido di chi dichiara di voler esporre solo all'estero, chiede settecento euro per una piccola incisione che però non si sa dove poterla acquistare non essendo disponibile neanche nella sedicente prestigiosa galleria che ha organizzato la mostra.
Posso confermare che XY vive realmente un'esistenza votata alla sua arte, a differenza di tanti "Piccoli (o Grandi) Imprenditori dell'Arte", adotto la perifrasi ritenendo di non poterli definire artisti sebbene realizzano (o fanno realizzare da altri) le loro opere, partecipano alle mostre ecc… ecc..., ma conducono un esistenza da piccoli speculatori: presenzialisti alle inaugurazioni per incontrare e raccontare dell'ultimo lavoro o della mostra in corso o in programma.
Ritengo che XY viva un qualche disaggio sociale, ma non è né un istintivo né un outsider, nei suoi lavori si avverte il condizionamento della sua istruzione e della sua cultura.
Il mio sospetto è che la scelta artistica possa essere stata per XY più che una naturale inclinazione e una necessità espressiva una forma di terapia per cercare di "anodizzare" con l'arte i propri dolori o disturbi. Se così fosse non sarebbe certamente né il primo né il solo, tuttavia l'impegno artistico è divenuto così preponderante che non è più una libera scelta, né una forma di cura, ma si è trasformato, anche in senso psicopatologico, in una mania.
Sarebbe semplice se tutti i diversi aspetti si potessero porre su due diversi piatti della bilancia e verificarne il peso, in mancanza di questa soluzione il dubbio che si affaccia è se XY (dando come postulato che non è un "grande" artista) può essere considerato comunque un "vero" un artista.
La risposta che io mi sono dato sarà nel prossimo post.