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Francisco Goya
Capricci, 1799, “Tu che non puoi” foglio 42
acquaforte e acquatinta.
Oscillo
tra il turbamento e un'ingenua, infantile meraviglia quando, per una qualche
inconsapevole coincidenza, i post si concatenano: questo con il precedente,
come potrà capire solo chi leggerà il libro.
La
pubblicazione risale al Gennaio 2014, tra le recensioni più autorevoli c'è
quella di Aldo Grasso e segnalarne il LINK mi
esime dal tentarne io la presentazione, perché l'intenzione è solo di
suggerirne la lettura con l'avvertenza che essendo fortemente urticante, anzi
di più..., non è adatto alle "pelli sensibili", ma per i più
"coriacei" il divertimento è assicurato, però ribadisco, a scanso di
tardive lamentele, che essere, come si suol dire, "adulti e vaccinati"
non basta.
Al
netto delle considerazioni massmediatiche, delle note autobiografiche e delle
tante nevrosi esistenziali del protagonista, Max Fontana, tutto quello che
resta riguardo l'arte contemporanea è verità, risultando l'attacco al
"sistema" più feroce, perché condotto con le armi dell'ironia, dello
sberleffo, del sarcasmo... della presa per il culo.
(Ovviamente)
non si fa alcun cenno all'incisione (una digressione sul concetto di
originalità a pagina 193 e frequenti riferimenti al saggio di Walter Benjamin)
ma c'è la simulazione di un accanimento verso la vita, prima ancora che verso
qualunque forma d’arte, che entusiasma. Tutte le idee fondanti dell'arte
contemporanea vengono scorticate, scarnificate, ridotte all'osso dell'assoluta
effettiva cialtroneria.
La
conoscenza delle opere create da Max Fontana dovrebbe essere obbligatoria per
tutti gli studenti di Accademia di Belle Arti, ma figuriamoci quelli
dell'Accademia... come sostiene Max: «...dall'Accademia non poteva uscirne
niente di buono: come potevano insegnarti l'arte contemporanea? Mica eravamo
nel Medioevo o nel Rinascimento. Era un paradosso: ti insegnavano a dipingere
impressionista o espressionista o cubista o astrattista, cioè ti insegnavano a
dipingere come quelli diventati famosi per non saper dipingere classico».
Poiché
nel testo sono riportati diversi riferimenti storici, ritengo che, sotto questo
aspetto, potrebbe risultare una valida alternativa all'ultimo volume di un
qualsiasi manuale scolastico di storia dell'arte. Valga ad esempio: «… i quadri
minimalisti, visti uno visti tutti. Io non ho mai capito come fanno questi qui
a essere minimalisti tutta la vita. Sinceramente pure Mondrian, il quale non
era propriamente minimalista ma De Stijl. Non l’ho mai capito. All'inizio deve
essere stato fico essere Mondrian, e passare dall'albero figurativo a quel
mondo bidimensionale e geometrico fatto di linee nere e quadrati colorati. Ti
fa sentire bene. Un sacco di problemi in meno. Non devi più preoccuparti di
dipingere un ritratto, una sedia, una natura morta. Ti alzi la mattina e fai un
quadrato rosso e due gialli.
Oppure Yves Klein, con quel suo cazzo di blu. Mamma mia che due
palle quel cazzo di blu di Klein. All'inizio deve essersi sentito bene, a fare
tutti i quadri blu. Deve aver pensato che era una grande idea. Anche lui doveva
avere un sacco di problemi in meno, ancora meno di Mondrian. Non doveva mai
decidere cosa dipingere, neppure se un quadrato o due quadrati o un rettangolo
e cinque quadrati, dipingeva sempre lo stesso blu, tutto il quadro blu. Un po'
come Einstein che decide di vestirsi sempre uguale per non perdere tempo a
pensare come vestirsi. Ma Einstein era uno scienziato, non era un sarto.
Quindi che palle essere Mondrian e Klein tutta la vita, c'è da
spararsi. Immagino la moglie di Klein, se ne aveva una: “Amore, vieni a vedere
cosa ho dipinto!”. La moglie di Klein arrivava e siccome lo amava doveva pure
fare finta e esclamare: “Amore, è bellissimo! È un altro quadro blu! Sono così
fiera di te! Come ti è venuto in mente?” […] È dura convincere qualcuno che
quel tuo blu è qualcosa di fondamentale.
E comunque spesso si stufano pure loro stessi. Klein cominciò a
variare le dimensioni dei quadri, un blu più piccolo, un blu più grande. Ma il
più incasinato è stato Malevič, che dopo aver inventato il quadrato nero su
fondo bianco inventò il quadrato bianco su fondo bianco e si deve essere reso
conto che a quel punto non aveva più un cazzo da dipingere, aveva esagerato, si
era infilato in un vicolo cieco. Malevič con quei quadrati era nella merda fino
al collo. Non deve essere stato facile per Malevič uscirne, deve essere stata
dura fare retromarcia dopo il quadrato bianco su fondo bianco. La gente deve
avergli detto: "Ma come, ci hai fatto due palle così con il suprematismo,
l'assenza di oggettività, il quadrato nero, il quadrato bianco e adesso ti
rimetti a dipingere figurativo?". Ma lui non è che poteva andare avanti
tutta la vita a fare il cerchio bianco su fondo bianco, il triangolo bianco su
fondo bianco, l'esagono bianco su fondo bianco. Per carità, il mio omonimo
Lucio Fontana è andato avanti una vita a fare i buchi, ma almeno variava il
fondo, e poi a un certo punto ha fatto i tagli. Se passi dai buchi ai tagli
nessuno ti dice niente perché puoi sempre rispondere: "E allora? Prima
bucavo, adesso taglio, che problema c'è?". Comunque quando uno imbocca una
strada estrema non può tornare indietro…»
Tanto
può bastare per rendere l'idea. C'è tutto, dono della sintesi, c'è tutto quello
che molti insegnanti vorrebbero poter dire ai propri alunni se non si
sentissero obbligati ad ammirare i vestiti nuovi del re e anche su questo Max
Fontana ha le idee chiare: «... il re non è nudo quando è nudo ma quando viene
visto fare la cacca».
Forse
su un solo aspetto la ferrea convinzione di Max Fontana non coglie appieno
l'attuale realtà dei fatti: «...Se non mi fosse andata bene... magari
sarei finito a fare il commesso da H&M, dove è finito un mio amico che
voleva diventare regista ... D'altra parte non credo neppure che l'altro
Fontana di successo prima di me, Lucio Fontana, avrebbe continuato a fare i
suoi tagli se nessuno glieli avesse mai comprati, mica era scemo. È anche la
differenza tra l'arte e la letteratura: Kafka può pure morire inedito e
esordire postumo e in vita continuare a scrivere i suoi romanzi, uno che fa
tagli sulla tela se non lo cagano deve fermarsi. Morale: l'artista
contemporaneo deve essere cagato il prima possibile o piantarla, sennò è
deficente». A questo principio c'è sempre qualcuno pronto a contrapporre il
caso Van Gogh, effettivamente il suo valore è stato riconosciuto solo a
posteriori, ma innanzitutto c'era del valore da riconoscere e il fatto di
essere un caso unico in millenni di storia dell'arte qualche dubbio dovrebbe
porlo, inoltre, aggiungerebbe Max Fontana, «...si doveva essere al posto giusto
nel momento giusto... metti Van Gogh nel Settecento e Winckelmann gli avrebbe
detto: "A spastico, ma come cazzo dipingi?"».
Invece
nella realtà odierna non sono pochi i "deficenti" - così li ha
definiti Max Fontana, io non mi sarei mai permesso - che si adattano a fare i
commessi - più spesso fanno gli insegnanti, ma con lo stesso impegno dei
commessi - per assicurarsi la pagnotta mensile e continuare a coltivare l'illusione
del grande artista incompreso.
Mi
rendo conto che non ho ancora detto che si tratta del romanzo "Il più
grande artista del mondo dopo Adolf Hitler" di Massimiliano Parente,
Edizione Mondadori, 400 pagine, 18,00 Euro, disponibile anche in e-book.