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Michel Wohlgemuth, DER TANZDERSKELETTE
da Hartmann Schedel, LiberCronicarum, 1493
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«L'incisione è morta
da quasi un secolo, ma c'è qualcuno che si reca quotidianamente a pisciare
sulla sua tomba»
Nel corso della
storia gli scritti autografi degli artisti non sono mai stati numerosi, a parte
trattati e manuali, ci restano le annotazioni sparse di Leonardo da Vinci, il
diario di Pontormo "Fatto nel tempo che dipingeva il Coro di San
Lorenzo"... tra i testi con intento polemico mi viene in mente "I
cornuti della vecchia arte moderna" di Salvador Dalì... anche Giorgio de
Chirico in "Memorie della mia vita" si toglie qualche sassolino... La
Casa Editrice "SE" nella collana "Saggi e Documenti del
Novecento" pubblica gli scritti lasciati in forma di autobiografie, diari,
lettere, annotazioni sparse...
Se focalizziamo
l'interesse sull'incisione il ricordo va a certe considerazioni nelle lettere
di Bartolini e in tempi più vicini alla "Breve ma veridica storia
dell'incisione italiana" in prima edizione nel 1989, successivamente in
"seconda edizione aggiornata alle ore 22 del 30 gennaio 1995", la
"Lettera Aperta a un professore in grafiche varie e linguaggi
annessi", riportata tra le nostre pagine, e un'altra "Lettera mai
spedita" indirizzata agli exlibristi, ma mi rendo conto di essere andato
fuori strada perché nessuno di questi ultimi autori è un artista.
Questi rigurgiti di
memoria hanno accompagnato la lettura delle bozze del libello che Francesco
Parisi ha dato alle stampe col titolo "Xilografia Lingua Morta" per i
tipi della Galleria Aleandri in trentasei esemplari numerati fuori commercio, Ad
Personam, stampati tipograficamente e cento copie stampate in digitale.
Di seguito, per
gentile concessione dell'autore, ne riportiamo qualche stralcio e per chi fosse
interessato il costo è di 15,00 Euro e può essere richiesto alla “Galleria
Simone Aleandri Arte Contemporanea” di Roma (www.aleandriartemoderna.com Tel.
3476309520).
Stante la scarsa
propensione degli artisti alla scrittura credo che difficilmente troveremmo
qualcun'altro che nel fondo di qualche cassetto custodisca considerazioni
simili a quelle di Parisi, ma sono certo che se anziché nei cassetti fosse
possibile frugare nelle menti le probabilità aumenterebbero e non di poco.
Quando una passione è sentita intensamente al punto da identificarsi con la vita stessa (consentitemi:
quando è vero amore) si
diventa intransigenti, mal si tollera chi
verso quella stessa passione dimostra superficialità di
sentimenti, sciatteria...
Nella sua scrittura
Francesco Parisi non usa mezzi termini, le sue considerazioni sono chiare e
dirette e ritengo che siano soggette allo stesso paradosso di alcuni post di
questo blog che sono condivisi solo se riguardano gli altri e non ci chiamano
in causa direttamente e non ci sfiora il sospetto che gli "altri"
potremmo essere noi.
Durante gli anni
trascorsi in Accademia come studente, notavo le mie colleghe, per la maggior
parte provenienti dal sud e dalla Calabria, indossare camici bianchi e guanti
per dipingere. Io rimanevo perplesso nei confronti di quell'attitudine a non
sporcarsi, probabile eredità bifolca inculcata dalle loro madri attente a non
fargli lordare i vestiti per andare ordinate la domenica a messa.
Dopo l'incisione
no-toxic, colpo di grazia maramaldico inferto al corpo morente dell'incisione
perpetrato perlopiù da donne, sorprende vedere sempre più esponenti del gentil
sesso armeggiare caratteri tipografici - con la stessa attitudine con cui
preparerebbero carciofi sotto olio - e produrre orribili libri che si ostinano
a chiamare «d'artista». Le si vede sulle fotografie che le ritraggono
sorridenti al torchio da stampa con grembiuli da tipografo indossati come
grembiuli da massaie e barattoli di inchiostro scambiati per conserve di
pomodoro.
Ho potuto vedere in
questo fine anno una serie di Pour
Feliciter con stelle comete, bambinelli, asinelli, angioletti, montagne
innevate etc. L'incisione è morta da quasi un secolo, ma c'è qualcuno che si
reca quotidianamente a pisciare sulla sua tomba.
Ieri una tipa mi ha
scritto chiedendomi un aiuto per l'organizzazione di una nuova associazione di
incisori. Gli ho risposto che per me nessuna associazione seria di incisori
dovrebbe includere donne e che se la selezione l'avessi fatta io non sarebbero
passati più di quattro o cinque incisori su tutto il territorio nazionale. Poi
le ho intimato di suicidarsi e lei mi ha risposto: chi ti credi di essere?
L'incisione
atossica, perlopiù praticata da donne, mostra sempre parallelismi con la cucina
delle mamme e delle nonne. Le artiste che la praticano si danno la zappa sui
piedi da sole chiamando il loro laboratorio kitchen
print.
Un incisore
molisano mi ha scritto: «quando spedirà metta "maestro" prima del mio
nome e dell'indirizzo». Il fatto che io debba intrattenere rapporti con simili
cialtroni è indice del mio fallimento, come uomo prima e come artista poi.
Un amico mi scrive:
«Vorrei essere tanto il tuo Gualtieri di San Lazzaro, ma quando proverò a
vendere le tue xilografie, che mi invento? Che gli dico ai collezionisti? Che
le interessa una sodomizzazione animale di stampo giudaico nel deserto? Ho
giusto quello che fa per lei!» Poi ha aggiunto: «quando chiederemo l'elemosina
fra il Caffè Greco e l'Aragno mangeremo anche le chele di granchio gommose
avanzate dai giapponesi».
Facevo risuonare la
nona di Bruckner in aula mentre uno studente mi mostrava il ritratto di Toro
Seduto. Ho spento.
Dopo aver appreso
della mostra di Giuseppe Stampone alla calcografia, reduce dall'avventura di
Miss Italia dove aveva disegnato le magliette delle concorrenti, ho pensato di
ammucchiare tutte le mie matrici di bosso di testa - intagliate e non - in un
campo incoltivato e di dargli fuoco. L'idea mi è stata suggerita da un passo de
L'adolescente di Dostoevskij: «quando non avessero avuto niente con cui
scaldarsi (i poveri, ndr), egli avrebbe comprato un intero deposito di legname,
lo avrebbe fatto ammucchiare in un campo e avrebbe riscaldato il campo, senza
darne neppure un pezzetto ai poveri»
Ecco qui riunite le
«numerose» schiere degli xilografi italiani (siamo in cinque, più una che va
per i novanta), anche se mi sembra un controsenso allestire una mostra di
incisione su legno per la «Giornata del Contemporaneo», ma tant'è.
Leggendo la
biografia dello xilografo Blair Hughes-Stanton (primo premio per la grafica
alla biennale di Venezia del 1938, ex aequo con Mario Delitala) vengo a sapere
che nel dopoguerra, preda della disperazione per non aver più un mercato, cercò
di uccidere la compagna con un pugno sulla tempia e che lei a sua volta tentò
di strangolarlo con la sua stessa cravatta.
Una delle cose più
tristi del mondo morto dell'incisione contemporanea sono le mostre collettive
di incisione contemporanea. Per la maggior parte si tratta di dopolavoristi che
non vendono un foglio neanche ai propri parenti, che non hanno gallerie che li
rappresentano e che hanno pubblicato i loro lavori soltanto nei cataloghi delle
biennali di grafica sparse per tutto il continente o al massimo in qualche
catalogo autoprodotto stampato digitalmente (le gallerie di grafica
difficilmente pagano cataloghi tipografici). In questi cataloghi collettivi
solitamente sono presenti circa cinquanta artisti e l'incisore li conserva
nella sua misera libreria cercando di dimenticare che quella pubblicazione l'ha
soltanto lui e gli altri quarantanove artisti che hanno partecipato (quasi
sempre pagando, oltre alle spese di spedizione, anche il contributo per il
catalogo con una grafica da pizzeria di Molfetta). Di queste biennali ce ne
sono a dozzine, bandite annualmente cosicché l'incisore può partecipare anche a
sette biennali l'anno e collezionare queste pubblicazioni che sfoggerà come
bibliografia nella pagina biografica del prossimo catalogo di biennale.
La morte
dell'incisione diventa però definitiva quando alla mostra si associa la
dimostrazione pratica di un incisore che stampa una sua lastra. C'é sempre
l'incisore che si presta a queste dimostrazioni pensando di recuperare un 3% di
visibilità in più come non mancherà mai il pubblico di vecchie babbuine
annoiate che assisteranno alla "performance" esclamando «che
bellooooooo» o «uhhhhhhhhh» come se stessero visionando una dimostrazione di
scatole in plastica per frigoriferi. In effetti l'artista che si presta a
questo quasi sempre ha la stessa cultura di un agente della Stanhome.
La calcografia nazionale organizzò un
convegno sull'incisione. Il mio intervento, contrariamente a quello degli altri
artisti relatori invitati, era basato sull’invito a non lamentarsi del
disinteresse della critica nei confronti delle arti grafiche, bensì a coltivare
questa tendenza. Durante la pausa pranzo un docente siciliano, mentre
discorreva con me a tavola, si massaggiava continuamente lo scroto.
Per mesi sono stato chiamato al telefono.
Chiamava a tutte le ore, compresa la
domenica mattina o la sera dopo le dieci. Mi diceva che la sua collezione era
importantissima, che io dovevo essere onorato di farne parte, che presto si
sarebbe fatta una mostra sulla xilografia italiana e che quindi io non potevo
mancare. Mi chiedeva tre xilografie di grande formato. Per convincermi mi mandò
un elenco fotocopiato degli artisti presenti nella sua collezione e un catalogo
di sue opere che mischiava contenuti da dépliant di ceramiche da bagno con un
gusto tipografico da ristorante shawarma kebab.
Provò anche a chiedermi se potevo
intercedere presso gli eredi di un noto artista dei primi anni del secolo per
ricevere in dono una xilografia. Ad ogni telefonata promettevo imminenti quanto
fantomatiche spedizioni di materiale. Dopo diverse settimane, non datosi per
vinto, contattò telefonicamente una mia amica storica dell’arte per chiedere,
sinceramente stupito, come mai io non avessi accettato di far parte della sua
collezione così prestigiosa.
~
Francesco Parisi, XILOGRAFIA LINGUA MORTA,
pp 17, Edizione Galleria Aleandri, Roma 2015. Euro 15,00
Galleria Simone
Aleandri Arte Contemporanea.
Tel. 347 630 95 20
Gli intemezzi tra
le considerazioni sono tratti da
François-Charles Wentzel, La Dans des Morts,
serie di 40
litografie, Casa Tipografica Wentzel,
Wissenbourg metà XIX sec.