mercoledì 24 agosto 2011

PSYCHO ALLA 54ª BIENNALE DI VENEZIA

Max Klinger (Lipsia 1857-Grossjena 1920)
Simplicius am Grabe des Einsiedler
(Simplicio alla tomba dell'eremita)
Intermezzi tav. VIII
acquaforte, 1881














Quando capiterà un’altra occasione?
Quando capiterà che nel padiglione italiano della 54ª Biennale di Venezia siano invitati ad esporre circa duecento artisti? Il numero esatto non è dato saperlo poiché ho potuto constatare personalmente che i nomi presenti in mostra non sempre corrispondono con quelli elencati nel sito ufficiale della Biennale ed è facile prevedere che in futuro il numero di chi dichiarerà di essere stato presente o di aver rifiutato è destinato ad aumentare.
La formula adottata dal curatore Vittorio Sgarbi è nota e non occorre riassumerla, né mi interessa giudicarne ulteriormente la validità, gli esiti, i costi... circolano, ormai, numerose dicerie sui retroscena degli inviti, ma anche questo ormai non mi interessa punto.
Congratulazioni a chi ha avuto la grande occasione e pazienza per tutti gli altri:
quelli che l’hanno già avuta, ma vorrebbero essere sempre presenti;
quelli che l’avranno;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non lo meritano;
quelli che non saranno mai presi in considerazione perché non si danno abbastanza da fare;….
Molti dubitano che si sia trattato di una “occasione”, né buona né grande, sostenendo che si notano di più quelli che mancano o che hanno rifiutato.
Il fatto che gli intellettuali interpellati non dovessero essere né esperti, né galleristi, né critici né curatori di mostre d’arte contemporanea (non del tutto vero poiché qualcuno dell’”ambiente” c’era) avrebbe dovuto sgombrare il campo dai pregiudizi che in questo Blog si sono spesso rilevati (vedi etichetta “Contemporaneamente”).
Tanto per non citare nuovamente il testo di presentazione nel catalogo della Biennale, riporto lo stralcio di una dichiarazione di Vittorio Sgarbi tratta da un’intervista raccolta da Cristina Baldacci e pubblicata sul numero 278 di “Artedossier”
«Il Padiglione Italia più che “illuminazioni” mostra una mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio….
ho concepito una Biennale estesa in tutta Italia, che esca dai limiti di Venezia, presentando artisti anche nelle nostre regioni e città e negli Istituti italiani di cultura all’estero, e che coinvolga diversi generi: pittura, scultura, fotografia, design, ceramica, videoart, e grafica, a cui si possono aggiungere anche altre forme di creatività, di solito estranee alla Biennale, come la moda e la gastronomia.»
Appare chiaro (almeno fingiamo di credere che lo sia) come sono stati cooptati gli artisti presenti a Venezia, ma non conosco la procedura adottata per le “sezioni decentrate”. Mi sono giunti diversi comunicati stampa relativi a mostre che si dichiarano emanazione del “Padiglione Italia”, sembrerebbe che qualunque mostra aperta dal 4 giugno al 27 novembre, sia sotto l’egida della 54ª Biennale.
Esisterà un qualche attestato ufficiale che lo dimostri?
Ma pare vi sia di peggio, ovvero mostre regionali delle quali sono stati annunciati i partecipanti, ma che non sono mai state allestite.
Frattanto nel sito internet ufficiale della Biennale non risulta alcun riferimento a questa fantomatica “Biennale stesa in tutta Italia”.
Pare che fosse sufficiente proporsi e credo che non avrei avuto grosse difficoltà a contattare il curatore, o i suoi collaboratori, per concordare una mostra. Che non l’abbia fato io si può capire, mi stranizza che non sia venuto in mete di farlo a qualcuna delle varie associazioni che con facilità avrebbero potuto gestire l’evento.
Ovviamente il fatto che io non ne sia a conoscenza non esclude che non sia stato fatto e se qualcuno avesse maggiori notizie in proposito sarebbe utile saperlo.
Appare ovvia la difficoltà di girarsi tutta l’Italia per ricostruire la “mappatura, la più veridica possibile, dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”, in compenso a Venezia, come ormai ben sapete, ci sono andato.
Effettivamente visitando il “Paglione Italia” all’Arsenale c’è di tutto (quasi), nel senso che rispetto alle intenzione enunciate da Sgarbi manca solo la gastronomia e… l’incisione.
Tra coloro chiamati a segnalare l’artista vi erano poeti e letterati che con i loro testi hanno anche contribuito alla realizzazione di edizioni con incisioni originali, ma, forse, non se ne sono ricordati, d’altra parte erano chiamati a segnalare l’artista non la tecnica, infatti sono presenti in mostra dei “peintre-graveur”, validi incisori, qualcuno è di quelli che quando c’è (c’era) l’edizione di qualche cartella in ballo rivendicava le specifiche competenze e reclamava l’inserimento, ma non è certo con le loro incisioni che si sono presentati nelle sale dell’Arsenale o nelle sedi regionali distaccate.
Cosa se ne può dedurre?
Innanzitutto che se sono gli stessi artisti a considerare l’incisione subalterna rispetto alla loro stessa attività non vorrei più sentirne le lagnanze.
In secondo luogo bisogna rassegnarsi all’ipotesi che nessun artista-incisore (occorrerebbe aggiungere  “puro”, non è una definizione che amo, ma serve ad intendere quegli artisti che adottano l’incisione come esclusivo, o privilegiato, mezzo espressivo, insomma quelli che, anche volendo, non avrebbero altro da proporre se non incisioni) è ritenuto una significativa espressione “dello stato dell’arte nei primi dieci anni del nuovo millennio”.
Ogni altra ipotesi, che si potrebbe fare, equivale ad affondare il dito nella piaga aperta e dolorante.
Degli artisti partecipanti alle mostre allestite negli 89 Istituti di Cultura Italiani all’estero è stato pubblicato un catalogo e si può apprendere che vi sono due artiste che presentano incisioni, ma in verità ambedue d’italiano hanno soltanto il nome: Angela Cavalieri (Melburne 1962) è una nota artista australiana che realizza incisioni su linoleum, sulle cui stampe interviene con pittura ad olio, elaborando i caratteri della scrittura per il loro valore segnico; Maria Bonomi (Meira 1933) è un artista portoghese che realizza (anche) xilografie dal linguaggio informale.
Se in qualche altra sede distaccata della Biennale siano esposte incisioni, mi sarebbe di gran conforto apprenderlo, poiché adesso io mi sento come il personaggio di Psycho, il romanzo di Robert Block portato sullo schermo da Alfred Hitchcock, che impersona la madre defunta, fingendo che sia ancora in vita.
Non sono così presuntuoso da ritenermi il candidato più idoneo a quella parte, il ruolo da protagonista spetterebbe a qualche altro interprete ben più autorevole di me (innanzitutto tra gli artisti), ma io non mi sottraggo alla mia piccola responsabilità di nostalgico, anacronista sorpassato dai gusti e dalla cultura della “contemporaneità” almeno nei primi dieci anni del nuovo millennio.

Nessun commento:

Posta un commento