venerdì 19 agosto 2011

RONDEAU VENEZIANO 0.6

La passeggiata mattutina mi ha fatto venire in mente che si potrebbero assegnare dei simboli al merito di quanto vado vedendo: non sono sicuro di avere disponibili nel computer delle Stelle, di certo ho le Palle a portata di mano: per esempio, più Palle vorrebbe dire Palloso ovvero noioso (meno meritevole) o Palluto ovvero energico (più meritevole)? Nell’indecisione non ne farò niente; il fatto è che ritengo che si debbano vedere le cose più disparate e l’impegno, il disturbo, la perdita di tempo, a volte il fastidio, che possono costare ci autorizzano, di per se, a criticare anche aspramente.

Durante il tragitto che porta ai Giardini della Biennale (i vaporetti 2, 41, 42 percorrono il canale della Giudecca) s’incontrano “Le Ali” di Massimo Scolari che mi sembrano resiste bene al trascorrere degli anni: realizzate per segnare l’ingresso alle Corderie dell’Arsenale nella Biennale del 1991 sono state, successivamente, collocate sul tetto dell’ex cotonificio. L’edificio fu inaugurato nel 1883; l’anno precedente, per iniziativa del barone Eugenio Cantoni e del cavaliere Carlo Moschini, si era costituita una società che aveva lo scopo di esercitare  la filatura del cotone. Parzialmente distrutto da un incendio nel 1916, fu ricostruito. Nello stabilimento lavoravano circa mille operai: rimase in funzione fino al 1960, restando poi abbandonato per trent’anni prima dell’intervento di restauro realizzato dallo studio veneziano di Gino Valle per ospitare una parte considerevole dell’IUAV.
(Tutto frutto di una rapida ricerca in Internet, va detto.)

«Nessuna altra cosa come il volo mi ha attratto da sempre in modo così silenzioso ed enigmatico. Possiamo cadere dal cielo, ma non innalzarci; possiamo galleggiare o immergerci, ma non possiamo librarci nell’aria come il più modesto dei volatili. I voli di Icaro e di Simon Mago punteggiano la storia di questa aspirazione disumana, ne costeggiano le impossibilità tecniche fino a cadere nel riso degli dei. Ma possiamo però volare sopra la nostra corporeità con l’immaginazione, e dare le ali a questa immaginazione mi sembrava di buon auspicio per le scuole di architettura.»
Massimo Scolari















Ingresso dei Giardini della Biennale, ore 9,50




Il viale verso il Padiglione Centrale (ex Padiglione Italia): i pennoni (titolo Fantasia del 2008, rappresentano le brulicanti braccia della burocrazia statale e le manovre della politica) sono di Latífa Echakhch.












La scritta sulla facciata è di Josh Smith (la sua tipicità consiste nell’imbrattare con il suo nome o solo con le iniziali e qui dimostra di saper scrivere anche altro); le colombe imbalsamate (nel 1997 s’intitolavano Tourists, quest’anno s’intitolano Others) sono di Maurizio Cattelan.
La 54ª Biennale d’Arte inizia veramente con grandi novità.











All’interno dei Giardini i padiglioni sono in totale 32, includendo l’ex libreria Electa oggi denominata Padiglione Stirling che contiene monografie, cataloghi ed anche taccuini di schizzi donati dagli artisti presenti nelle mostre.

Padiglione Stirling


I Giardini aprono alle 10,00 e chiudono alle 18,00 quindi 8 ore di tempo, equivalenti a 480 minuti che immaginando di spostarsi alla velocità della luce e senza neanche una pausa per fare pipì corrispondono a 15 minuti a padiglione. Questo in teoria perché in pratica ecco la situazione intorno alle 14,00.

Si ha l’impressione d’essere in un’area comunale adibita allo smaltimento profano dell’umano consorzio piuttosto che nel sacrario dell’arte contemporanea.
Se fosse una performance sarebbe riuscitissima, meglio di quella antimilitarista con un carroarmato sottosopra i cui cingoli azionano un tapis roulant sul quale corre il tizio in tenuta ginnica con la scritta USA sulla canotta.

L’ho presa da questo verso per arrivare a dire che la Biennale non si può raccontare, credo che neanche un filmato vi riuscirebbe e lo dico non per giustificare le mia inadeguatezza.
Neanche il ponderoso catalogo ufficiale riesce ad “elencarla” esaustivamente figuratevi se si può renderne, a parole, la sinestesia.

Ad un livello opposto di percezione, cioè di azzeramento di contenuti, appartiene la trovatina pseudodadaista del “dipinto invisibile” del “cabarettista” svizzero Bruno Jakob che nella mia personale tassonomia estetica risulta classificabile sotto la categoria delle “minchiate col botto”:
Minchiatella
Minchiata
Gran Minchiata
Minchiata col Botto
Naturalmente ripongo più fiducia nell’esistenza di Babbo Natale e tanto basta per rilevare che, per me, “il re è nudo”, ma evidentemente a Bice Curiger piace illudersi (contribuendo a illudere gli altri) di vederlo agghindato, benché marginato, soverchiato, annientato nella stessa sala del Tintoretto si disinnesca ogni provocatoria credibilità.

Auspico che si possa parlare d’arte con passione analoga alle discussioni calcistiche che si tengono nei bar: la battutaccia del tifoso integralista e le sottili interpretazioni alla Sacchi.
Norma Jeane, Who's Afraid of Free Expression

Il coinvolgimento del pubblico funziona sempre: Norma Jeane (era il vero nome di Marilyn Monroe) è l’allonimo usato da un anonimo artista, o gruppo di artisti, i panetti di plastilina hanno i colori della bandiera egiziana ognuno è invitato a farci quello che vuole (dissoluzione dell’individualità dell’artista a favore dell’inclusività collettiva).

Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale all’installazione dello “scenografo” Christoph Schlingensief nel padiglione tedesco: si entra in un luogo asfissiante e inospitale improvvisamente passa ogni voglia, nel mio caso mi è passata la voglia di scriverne, ma non è, come può sembrare, un giudizio di valore e, nel contesto generale, essendo previsto un premio a qualcuno andava assegnato.

Christian Boltanski, Chance, Padiglione francese
Si potrebbero sparare battute più o meno sarcastiche, o stendere elogi, su ogni allestimento con tanto di foto ricordo, ma non mi interessa recensire la Biennale, né nel complesso né in dettaglio, ho solo il piacere di quatto passi di danza, il rondeau del titolo, così riprendo il mio giro.

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